Realtà e leggenda si mescolano per un piatto tipicamente torinese: la finanziera
Erano i tempi del duca Carlo Emanuele I (1510-1573), figlio di Emanuele Filiberto, uno spiritaccio giocatore e guerrafondaio, ma che evidentemente in cucina ritrovava la vivacità del sangue francese ereditato dalla madre Margherita di Valois.
Naturalmente la finanziera ognuno la rimescola a modo suo.
Ad Asti era una delle antiche glorie, comprendeva scaloppine di fesa di vitello, filoni di bue, animella di vitello, cetriolini, funghi sott’olio, brodo, limone, aglio, sale, pepe e noce moscata.
Altri usano creste, rognoni e fegatini di pollo, prezzemolo tritato e timo.
L’etimo è incerto, tuttavia pare che ad un certo punto della storia, la finanziera abbia abbandonato le tavole dei contadini, sia diventato un piatto elitario ed abbia quindi preso il nome dalla giacca da cerimonia, detta appunto finanziera, indossata a Torino nell’800 dai rappresentanti della finanza piemontese.
“Bella come una fiore”, adattando la traduzione in italiano dell’espressione piemontese dove il fiore è di genere femminile, possiamo definire in questo modo la cucina del territorio torinese.
Una vera e propria elencazione di piatti nati in questa città non esiste.
D’altronde è il destino di molte altre capitali regionali o nazionali, crocevia di genti e di abitudini, le metropoli, nel corso dei secoli, più che esprimere una cultura gastronomica autoctona, hanno recepito sapori e tecniche di altre province della regione.
Tuttavia, qualcosa di schiettamente torinese esiste o, perlomeno, credo che ci sia davvero.
Ad esempio, proprio la finanziera! Si racconta che essa sia nata nel tardo Settecento, o meglio a metà dell’Ottocento, quando la finanziera piemontese era fatta da gente forte, cioè veramente ricca.
Questi finanzieri, accaniti giocatori di Borsa, si davano appuntamento ai tavoli del Cambio (Torino), già allora glorioso ristorante; avevano sempre premura questi giocatori: i giochi in Borsa, si sa, non vogliono lunghe soste e dunque uno chef dell’epoca avrebbe concepito, primo nella storia d’Italia, una sorta di piatto unico, ghiotto e opulento, per soddisfare stomaci e bocche affamati senza perdere troppo tempo a tavola.
Si usarono gli scarti di cottura dei polli e cosi nacque questo piatto gradito dalla gente della finanza, dunque ” la finanziera”. Racconto vero o inquinato da desideri del’immaginario collettivo?
Chissà.