Fra Bavareisa e Bicerin, nella Torino dei primi caffè
Ogni mattina, a chi gli dava relazione degli affari, Carlo Alberto soleva chiedere cosa mai si dicesse in un certo “caffè degli aristocratici” di via Po (Torino).
Lo racconta Dina Rebaudengo, archeologa del passato piemontese, che da parte sua ha raccontato argomenti di fascino sui caffè piemontesi.
A partire dall’inizio della loro storia, concretizzata qui con un certo ritardo rispetto a Venezia, dove le prime botteghe del caffè risalgono ufficialmente al 1645.
Troviamo traccia torinese di un primo caffè, che a quel tempo si chiamava acquavitàr, dirimpetto alla porticina della chiesa di San Dalmazzo nel 1714 e sotto la proprietà di un certo Forneris; altri storici lo fanno precedere da un locale esistente presso la Porta d’Italia (Porta Palazzo), già nel 1706, più tardi identificato sotto l’insegna della Vedova Arignano, dove si fermò l’assetato principe di Anhalt di ritorno dalla battaglia.
In quel tempo la colazione d’obbligo era la “bavareisa”, una bevanda mista di caffè, cioccolato e latte, servita in grossi bicchieri già dolcificata con sciroppo e che si ordinava con ” ‘n po’ d’tut-pur e barb-pur e pur e fiot e la stissa”.( una stissa di tutto, stissa-goccia)
Alla bavareisa, seguì quindi il “Bicerin”, tanto caro a Dumas, che era composto dai medesimi ingredienti della bavareisa, con la differenza che questi erano serviti separatamente.
Sempre secondo la Rebaudengo, un armamentario degno di un’orientale cerimonia del tè che sarebbe caduto in disuso nel 1843, causa l’innovazione di un certo Calosso della Contrada Doragrossa, il quale ebbe il colpo di genio di applicare ad ogni bicchiere il suo bravo manico.
Un passo in avanti accettato a furor di popolo anche se, per altri decenni, la chicchera del caffè conservò per i torinesi il termine familiare “bicerin”.
Un vezzeggiativo all’altezza di una consuetudine quotidiana e di una moda ormai adottata con soddisfazione generale.
Tanto da convincere gli “ordinati” del vicario di Torino a favorire, nel 1770, i caffettieri, ” fatte loro facoltà di servire caffè, cioccolata e rinfreschi”.
Il modo migliore, 44 anni più tardi, per festeggiare il ritorno di Vittorio Emanuele I dalla Sardegna, in una cornice di fasti e di splendore dove i caffè cominceranno ad occupare un ruolo importante nella Torino di quei tempi.
Caffè magnificamente arredati e messi ad oro, a stucchi, a specchi, a pitture, e cotanta loro eleganza viene fatta meglio spiccare nella notte dal gas che gl’illumina.
Mentre in via Po (Torino) questa atmosfera fragrante di cioccolata e di pii bisbigli cedeva il passo ad aristocratici, diplomatici, intellettuali.
E adesso?
È di nuovo estate, Torino si rilassa assieme a tutta la gente che le vuole bene, nei bei bar antichi, oppure delle ultime leve, i gelidi bicchieroni di caffè shakerato al momento e carico di schiuma vengono offerti con lo stesso garbo dell’ottocentesco “bicerin”.