L’Italia è da sempre un Paese che – probabilmente ancora a seguito della riforma Gentile del 1923 – concepisce la cultura solamente nell’ambito letterario e artistico relegando altri aspetti, quali quelli scientifici, popolari, enogastronomici, ecc., ai soli ambiti tecnici se non, addirittura, meramente economici o “hobbistici”. Questa visione è ovviamente fortemente penalizzante in quanto devia risorse, interesse e sforzi sociali da ambiti oggi cruciali – ambiente, agricoltura, enogastronomia – verso altri aspetti percepiti dai più come di maggiore rilevanza. Per amore di verità, è giusto ricordare che piccoli segnali di cambiamento stanno emergendo, ad esempio, nell’utilizzo dei fondi del PNRR o nel recente Testo Unico del Vino (Legge 12 dicembre 2016, n. 238) nel quale si legge “Il vino, prodotto della vite, la vite e i territori viticoli, quali frutto del lavoro, dell’insieme delle competenze, delle conoscenze, delle pratiche e delle tradizioni, costituiscono un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale”.