L’Alessandrino è da secoli la terra piemontese più vocata alla produzione di vini bianchi. Questa caratteristica è stata abitualmente collegata alla vicinanza con i mercati liguri, facilmente raggiungibili tramite i valichi appenninici e certamente più interessati ai vini bianchi di quanto non lo fossero il mercato milanese – e lombardo più in generale – così come quello del resto del Piemonte. Già negli anni compresi fra tra il 1304 e il 1309 il bolognese Pier de Crescenzi, attivo ad Asti e autore di un trattato di agricoltura, inserisce nell’elenco delle varietà a lui note il gragnolato, tipica del Tortonese e generatrice di vini “nobilis saporis et odoris“.
Questo vitigno, peraltro non ancora identificato con certezza, ricompare piuttosto frequentemente nei secoli successivi in diverse aree dell’Alessandrino (Fubine nella prima metà del 1600, Lu e S. Salvatore Monferrato nel 1734-35). Nell’Ampelografia della Provincia di Alessandria, redatta e pubblicata da De Maria e Leardi nel 1857, sono descritte ben 37 varietà a bacca bianca facendo così del Piemonte sud-orientale la zona più ricca di vitigni autoctoni a bacca bianca di questa regione.
Poco è noto sulle parentele del timorasso con gli autoctoni piemontesi o italiani; recenti analisi genetiche hanno mostrato interessanti legami fra questa varietà e il lambruschetto, un vitigno a bacca nera coltivato in una ristretta area nei pressi di Castelnuovo Bormida (AL); questo fatto fornirebbe un valido supporto a favore delle origini autoctone del timorasso stesso. Alcuni Autori hanno anche ipotizzato l’esistenza di relazioni genetiche fra il timorasso e il nebbiolo ma ulteriori indagini condotte da Anna Schneider e Jose Vouillamoz non hanno ne hanno trovato conferma.
Sopravvissuto nei secoli, il timorasso ha seriamente rischiato di estinguersi quando, a partire dal secondo dopoguerra, l’abbandono delle campagne e l’aumento dell’interesse nei confronti dei vini rossi lo hanno portato lungo un declino che sembrava essere inesorabile.
La sua salvezza ha avuto inizio, a partire dalla fine degli anni ‘80 dello scorso secolo, grazie all’impegno e all’intuizione di un giovane e allora sconosciuto vignaiolo, Walter Massa. Il suo grande impegno, rapidamente affiancato da quello di suoi numerosi colleghi, ha portato a una seconda primavera di questo vitigno che attualmente riscuote grande interesse sia in Italia sia all’estero.