• Lun 04 Dic 2023

Natale 2014, Londra: Heston Blumenthal

È un natale di spreco e di paure. Un Natale diverso, contraddittorio, vie e piazze sono in mano ai turisti, domina l’offensiva dei clacson umani, gli addobbi festosi sono più radi e bassi, sembra che non sia Natale.

Nelle strade del centro la calca trascina i piedi e smarrisce i bambini, spinge sgomita, un nereggiare di folla stranita; obbedendo a un riflesso condizionato, al richiamo del pifferaio magico del consumismo, la gente assedia i negozi eleganti, ma non sempre compera.

Le luci festose sono state sostituite dagli iphone, scintillanti sirene del nostro tempo: Piccadilly Circus è in mano alle luci tecnologiche, che scansionano ogni parte della piazza, Trafalgar Square, cuore pulsante e simbolo dei Britannici, invasa da turisti iphoniani, chissà cosa direbbe Horatio Nelson.

Dalla finestra dell’albergo si intravede St Paul’s, bianca come non mai.

In St Paul’s Chatedral, il capolavoro architettonico di Cristopher Wren dove egli stesso è sepolto, la sua lapide riporta una scritta emblematica”Lector, si monumentum requiris, circumspice”(lettore se tu vuoi vedere il mio monumento, guardati attorno). La cattedrale troneggia lì bianca candida in una giornata ventosa in tutto il suo splendore, la scalinata invita i tanti turisti iphoniani ad entrare.

Il vento si sta alzando, niente The Tube, si cammina a piedi, niente mezzi pubblici, il buio della sera si avvicina, si cammina verso la meta.

La meta: 66 knightsbridge.

Ma è ancora presto per l’agognata meta, d’altronde ho dovuto aspettare 90 giorni, perché il ristorante era full booked per i prossimi tre mesi.

Le luci scintillanti di Fortnum & Mason attirano l’attenzione, un uomo in livrea invita i passati ad entrare, chissà forse è li dal 1707, data di nascita di questa meravigliosa Mason del cibo e non solo.

Conquistati dallo scintillare delle luci entriamo, Keep Calm, direzione reparto enogastronomico, un pot-pourridi luci ci accompagna verso l’elisir enogastronomico, meravigliosamente incredibile. Gli occhi, entrati nel vaso di Pandora, vorrebbero accaparrarsi ogni immagine di grandi bottiglie e leccornie, una magnum di Salon mi compare all’improvviso, Montrachet, Château Latour, gli occhi impazzano alla vista di queste grandi Maisons e Châteaux.

È giunta l’ora di andare verso la meta, lasciando a malincuore il vaso di Pandora.

Tra uno sguardo e una esclamazione sulle belle prospettive che offre Londra, all’improvviso ci appare il Mandarin Oriental, la meta!

Dinner by Heston Blumenthal!

Entriamo, alla porta rivediamo un’altra persona in livrea che gentilmente ci apre la porta, ci dirigiamo verso il Dinner, uno staff ci accoglie gentilmente, gli occhi ricominciano ad attorcigliarsi tra loro, nel vedere un luogo elegante, confortevole e non pretenzioso.

Dulcis in fundo, il tavolo che ci viene assegnato è a una spanna dalla cucina a vista, nuovamente gli occhi si attorcigliano nel vedere con quanta maestria gli Chef preparino i piatti per i commensali.

Ci sediamo, gentilmente ci viene chiesto se volevamo iniziare con un aperitivo, la mia scelta cade su un Sparkling inglese, arriva il calice, arriva il menù, degusto il Blanc de Blanc del 2007 azienda Nyetimer, meglio sorvolare, d’altronde me la sono cercata! Leggiamo il menù, ma già sappiamo cosa scegliere.

È da precisare che al Dinner si degusta un menù, ispirandosi ai piatti della Royal Courts di Enrico VIII, in chiave moderna.

Il piatto!

Meat Fruit (c.1500)

Un fiero precursore degli inganni visivi di cui Blumenthal è maestro; all’apparenza è un perfetto mandarino con tanto di foglie, ma il cuore è goloso; un paté di pollo e foie gras ricoperto da una gelatina di agrumi, accompagnato da bruschette, per l’anima e per il palato visivamente bello e buono.

Ma vorrei fare un passo in dietro, arriva il menù, ovviamente accompagnato dalla carta dei vini(e che carta!): incuriosito la sfoglio come se fosse una Bibbia (perdonatemi l’espressione). L’occhio cade su uno dei grandi vini del mondo (e qui si apre un siparietto da commedia napoletana): uno Château Pétrus del 2006 al costo di 7500 sterline, allorché il sommelier, vedendomi concentrato sulla lista dei vini, mi chiese se volevo degustarla, a tal domanda gli risposi, ovviamente in inglese che solo nei mie sogni potevo mai degustare quel nettare; in risposta il sommelier mi disse “che presto avrei potuto degustare il nettare degli Dei, per via di un marchingegno che permette di conservare il vino”. Sì certo, ma intanto nella mia mente, il moltiplicatore delle sterline faceva le divisioni di quanto potesse costare un calice del nettare degli Dei.

Ritorniamo al menù.

Main course!

Roast Iberico Pork Chop (c.1820)

Braciola di maiale cotta a bassa temperatura, accompagnata da una gelatina di mela cotogna: che dire “amorevole, ma una degna interpretazione di questa meravigliosa carne, dandogli rispetto”

Tipsy Cake (c.1810)

Rifacciamo un passo in dietro: quando iniziammo ad ordinare, (il cameriere, no) ma il personale di servizio, mi chiese se volevo provare il “Tipsy Cake” avvertendomi che ci volevano 40 minuti di preparazione e quindi dovevo decidermi subito. Scelsi di provarlo e nel frattempo mi dilettavo a fare foto alla cucina a vista, allorché, non so se per pietà o per timore di una recensione negativa, mi invitarono a visitare la cucina all’interno, ma declinai l’invito per il rispetto degli Chef, diventando anche io un iphoniano.

Vorrei precisare che lo staff è a conoscenza dei vari menù, dei tempi di cottura, dei prodotti usati e, se non bastasse, anche della loro storia: non male.

Ritorniamo al Tipsy Cake: è una brioche cotta nel vino più volte e farcita di crema; chissà, forse riuscirò a trovare qualche ricettario datato, per trovare questa ricetta deliziosa.

Qualcuno di voi si chiederà quale vino scelsi: bene, la risposta la troverete la prossima volta.

Read Previous

Il vino del sabato: Bianco dell’Emilia IGP – Bora Lunga Az. Agricola Biologica Cinque Campi

Read Next

Un fiume dorato: Scotch whisky, passioni e aneddoti