Intervista a Emilio Pedron Presidente e Amministratore Delegato della Cavalier G. B. Bertani
Trentino di nascita, Emilio Pedron inizia il suo percorso nel mondo del vino con gli studi presso l’Istituto Enologico San Michele all’Adige. In seguito inizia un percorso che lo porterà ai vertici mondiale nel settore enologico: dopo un’esperienza come direttore presso la Cantina Nino Negri – storico marchio della Valtellina – approda al Gruppo Italiano Vini del quale diventa A.D. nel 1996 mantenendo tale prestigiosa carica fino al 2010. Inoltre, dal 2002 al 2012 è stato Presidente del Consorzio di Tutela dei Vini Valpolicella dove ha attivamente lavorato per l’ottenimento della Docg per l’amarone. Dal 2004 è Presidente e Amministratore Delegato della Cavalier G. B. Bertani.
Gent.mo Dott. Emilio Pedron La ringraziamo per avere accettato di rispondere ad alcune domande che speriamo possano chiarire meglio il passato e il futuro dell’Azienda Bertani e dell’Amarone della Valpolicella Docg.
Pochi vini sono riusciti ad affermarsi così rapidamente presso i consumatori di tutto il mondo come sinonimo di qualità: quali sono state, a Suo avviso, le principali ragioni dello strepitoso successo dell’amarone?
I consumatori apprezzano sempre più i vini figli di una storia e in grado di esprimere al meglio un territorio. I questo senso l’Amarone, vino ottenuto da vitigni autoctoni e pertanto fortemente legato ai suoli e al clima della Valpolicella, ben risponde a queste caratteristiche. Oltre a ciò, l’appassimento delle uve lo rende un prodotto piacevole e di più facile consumo e gli regala note uniche e inconfondibili. Inoltre, essere giunto alla ribalta in tempi più lunghi e, forse, con più umiltà rispetto ad altri grandi rossi italiani lo ha reso emotivamente più accessibile a tutti: un vino che può piacere senza dovere essere dei grandi esperti.
Il mondo del vino sta radicalizzandosi tra sostenitori della vitivinicoltura convenzionale e assertori della superiorità organolettica e salutistica dei vini biologici e biodinamici. Qual è, a riguardo, il punto di vista di una grande Azienda come Bertani?
Il rispetto dell’ambiente e del territorio e, di conseguenza, della salute degli abitanti e dei consumatori, è ormai un dovere etico imprescindibile. In tal senso Bertani cerca di abbracciare tecniche di vigna e di cantina sempre più a basso impatto, indipendentemente dall’ottenimento delle varie certificazioni.
Come in Langa per il barolo, anche in Valpolicella i produttori sono divisi fra tradizionalisti – sostenitori dell’esclusivo uso delle uve e dei metodi tradizionali nella produzione dell’amarone – e innovatori, molto più aperti all’evoluzione del prodotto verso tipologie di più facile vendita e consumo. L’Azienda Bertani ha decisamente seguito molto più le tradizioni che le novità. Quali le ragioni di questa scelta?
L’amarone nasce come un vino derivante da uve appassite naturalmente e botritizzate a cui seguivano fermentazioni molto lente e invecchiamento in botte grande. In anni più recenti, per motivi di facilità produttiva, alcune Aziende hanno imboccato la strada di appassimenti in condizione controllati e invecchiamenti più brevi in barrique. Bertani si ritiene sinonimo di amarone e vuole mantenersi fedele alla tradizione. In nostri amaroni classici sono messi in vendita dopo 8 – 9 anni di invecchiamento. Nella cantina storica conserviamo ancora tutte le annate prodotte (a partire quindi dal 1959) per un totale di 200.000 bottiglie. Per attrarre anche una fascia di consumatori amanti di prodotti meno impegnativi anche la nostra Azienda produce ora in Valpantena, quindi al di fuori della zona della Valpolicella Classica, un amarone più “moderno”: il Villa Arvedi.
Oltre all’amarone che ha reso celebre il Vostro marchio nel mondo, Bertani produce numerose altre etichette: quali tra queste ritiene siano quelle che meglio rappresentano la filosofia aziendale?
Sicuramente il Secco Bertani. Questo vino, nato nel 1870 e già famoso all’inizio dello scorso secolo tanto da ottenere l’autorevole brevetto della Real Casa, rappresenta la storia dell’Azienda e il marchio che ci ha permesso di affermarci in tutto il mondo come produttori di alto livello. Attualmente è prodotto anche nella versione Vintage secondo l’esatta modalità con la quale era nato quasi 150 anni orsono. Inoltre, ritengo che anche il Sereole – cioè il Soave Doc prodotto dalle nostre vigne del Monte Tondo, un “cru” dalla zona Classica del Soave – rappresenti una parte importante della storia dell’Azienda Bertani.
La Valpolicella è un mosaico di proprietà divise fra grandi aziende e piccoli produttori: è possibile far si che questa realtà diventi un punto di forza per il territorio tramite una collaborazione fattiva tra piccole realtà e grandi produttori?
Questa sinergia fra marchi storici, piccoli produttori e cantine sociali è proprio una delle forze della Valpolicella. Tutte queste realtà devono sforzarsi, in relazione alle loro possibilità, di promuovere il territorio e proprio in tal senso non vedo con favore iniziative volte a dividere i produttori dall’interno.
Negli ultimi anni si è assistito ad una centralizzazione dell’amarone a discapito degli altri vini tradizionali della Valpolicella: questa scelta, oltre a impoverire il paesaggio enologico della zona, non rischia di esporre eccessivamente il territorio ad eventuali cambiamenti del mercato?
In effetti negli ultima anni amarone e Valpolicella ripasso hanno assorbito quasi interamente le capacità produttive della nostra zona. D’altro canto, data l’estensione relativamente limitata della Valpolicella, abbiamo preferito puntare sui prodotti di alta qualità che avrebbero, tra l’altro, aiutato a aumentare la visibilità del nostro territorio nel mondo. È sicuramente un peccato la perdita di produzione del recioto che paga, in effetti, le maggiori difficoltà produttive e la limitata richiesta dal parte dei consumatori.
Spesso si sente dire che certe scelte produttive sono dovute ai nuovi gusti dei consumatori: secondo Lei è vero che sia il mercato a imporre determinate tipologie di vini ai produttori o, piuttosto, sono i produttori che le impongono al mercato?
Secondo me è realmente il mercato ad imporre alcune scelte ai produttori. Nel nostro caso, per una fortunata coincidenza, questi due aspetti hanno coinciso: il mercato chiedeva amarone e ripasso, anche in virtù delle caratteristiche di territorialità e autoctonia di cui si è appena parlato, e i produttori erano in grado e soddisfatti di accontentare tale richiesta. Un fenomeno analogo a quanto sta avvenendo negli ultimi anni in Salento col primitivo nelle sue diverse declinazioni.
Nei ristoranti spesso i ricarichi sui vini superano il 300 – 400%: quanto influisce negativamente questo fatto sull’amarone?
A mio avviso qualche anno fa i ricarichi erano più alti. Attualmente, almeno per quanto riguarda l’amarone, siamo intorno a un raddoppio del costo che ritengo un ricarico corretto. È fondamentale, invece, l’impegno della ristorazione a proporre sempre prodotti di qualità.
Quali a Suo avviso le maggiori necessità del “sistema vino” in Italia?
Negli ultimi anni si è detto tantissimo sulla qualità del vino e su cosa fosse necessario fare per migliorarla ma ormai si ripetono sempre e solo le stesse ricette. È mancata la ricerca da parte dei produttori e delle Università. Bisogna ripartire con la ricerca. Mancano informazioni sull’ecologia dei diversi vitigni e sulle influenze che suolo, clima, esposizione possono avere sulle caratteristiche organolettiche del prodotto finito.