Il timorasso e i Colli Tortonesi: quando la tradizione guarda al futuro
Un ininterrotto susseguirsi di crinali, pendii e valli che, dolcemente, salgono verso l’Appennino collegando quest’ultimo con la pianura alessandrina. Sono i Colli Tortonesi, un sistema collinare di rara bellezza che, pagando il prezzo di molti decenni di contenuto sviluppo economico e agricolo, ha potuto consegnarci paesaggi che sembrano condurci indietro nel tempo, quando ambiente e agricoltura sapevano convivere in armonia. Vigneti, frutteti e campi di cereali si alternano a boschi e a prati stabili dando vita a un mosaico di biodiversità naturale e agricola dal grande valore storico, ambientale e scientifico.
I Colli Tortonesi, però, sono soprattutto terra di uve e di vini che, resistendo con tenacia all’affermarsi delle varietà internazionali, hanno saputo preservare alcuni vitigni unici e, in senso più ampio, consegnarci intatta l’anima enoica più profonda di un territorio posto a fare da cerniera tra Piemonte e Lombardia. Le righe che seguiranno vogliono, pertanto, raccontare queste terre e il vitigno che oggi meglio le rappresenta: il timorasso.
I Colli Tortonesi: la Denominazione, il territorio e il timorasso
La Denominazione
La Denominazione di Origine Controllata “Colli Tortonesi”, nata nell’ormai lontano 1973, si estende sul territorio di 47 comuni in provincia di Alessandria nella porzione sud-orientale del Piemonte. L’importanza della produzione viticola per il territorio è testimoniata dagli 882 ettari vitati costituiti per circa il 57% da barbera a cui segue il timorasso con 126 ettari (14%); superfici significative sono poi dedicate a cortese, dolcetto e croatina (dati Consorzio Tutela Vini Colli Tortonesi, 2019). La produzione vitivinicola è gestita e indirizzata dal Consorzio che, ottenuto l’Erga Omnes nel 2014, rappresenta 57 Soci per un totale di circa il 98% della produzione totale di uva. Il Disciplinare prevede un’ampia gamma di tipologie e due sottozone: Monleale, dedicata al vitigno barbera, e Terre di Libarna, che riunisce i comuni ricadenti nella Val Borbera dove i vigneti sono coltivati a quote comprese fra i 400 e i 600m s.l.m..
Il territorio
Dal punto di vista geografico, i Colli Tortonesi si estendono tra la Pianura Padana e gli Appennini fino a giungere ai 1700 metri di altezza dei monti Ebro e Chiappo; dalle diverse cime scendono i principali torrenti che danno origine alle valli Curone, Grue, Ossona, Scrivia e Borbera.
La litologia del territorio è costituita prevalentemente da terreni sedimentari appartenenti alla successione stratigrafica del Bacino Terziario del Piemonte, ovvero il complesso di sedimenti che costituiscono i rilievi collinari del settore sud-orientale di tale regione con esposizione prevalente SW-NE e con inclinazioni da 15° a 30°. Tali suoli, argillo-marnosi e ricchi di litio, conferiscono al vino una spiccata sapidità. Da notare che una parte importante del substrato geologico è ascrivibile al Tortoniano, ovvero a quelle marne azzurre che da Barolo giungono fino alla Toscana.
Il clima è caratterizzato da inverni freddi, da una temperatura media annua di circa 12°C e da precipitazioni medie annuali comprese fra gli 800 e i 1100mm oltre che rilevanti escursioni termiche tra il giorno e la notte durante il periodo terminale di maturazione delle uve.
Il timorasso e la storia dei vitigni a bacca bianca piemontesi
L’Alessandrino è da secoli la terra piemontese più vocata alla produzione di vini bianchi. Questa caratteristica è stata abitualmente collegata alla vicinanza con i mercati liguri, facilmente raggiungibili tramite i valichi appenninici e certamente più interessati ai vini bianchi di quanto non lo fossero il mercato milanese – e lombardo più in generale – così come quello del resto del Piemonte. Già negli anni compresi fra tra il 1304 e il 1309 il bolognese Pier de Crescenzi, attivo ad Asti e autore di un trattato di agricoltura, inserisce nell’elenco delle varietà a lui note il gragnolato, tipica del Tortonese e generatrice di vini “nobilis saporis et odoris“.
Questo vitigno, peraltro non ancora identificato con certezza, ricompare piuttosto frequentemente nei secoli successivi in diverse aree dell’Alessandrino (Fubine nella prima metà del 1600, Lu e S. Salvatore Monferrato nel 1734-35); nei medesimi documenti sono inoltre già citati altri vitigni a bacca bianca insieme al gragnolato: moscatello, malvasia, lugliatica, cortese e passula. Nell’Ampelografia della Provincia di Alessandria redatta e pubblicata da De Maria e Leardi nel 1857 sono descritte ben 37 varietà a bacca bianca facendo così del Piemonte sud-orientale la zona più ricca di vitigni autoctoni a bacca bianca di questa regione.
Poco è noto sulle parentele del timorasso con gli autoctoni piemontesi o italiani; recenti analisi genetiche hanno mostrato interessanti legami fra questa varietà e il lambruschetto, un vitigno a bacca nera coltivato in una ristretta area nei pressi di Castelnuovo Bormida (AL); questo fatto fornirebbe un valido supporto a favore delle origini autoctone del timorasso stesso. Alcuni Autori hanno anche ipotizzato l’esistenza di relazioni genetiche fra il timorasso e il nebbiolo ma ulteriori indagini condotte da Anna Schneider e Jose Vouillamoz non hanno ne hanno trovato conferma.
Sopravvissuto nei secoli, il timorasso ha seriamente rischiato di estinguersi quando, a partire dal secondo dopoguerra, l’abbandono delle campagne e l’aumento dell’interesse nei confronti dei vini rossi lo ha portato lungo un declino che sembrava essere inesorabile.
La sua salvezza ha avuto inizio, a partire dalla fine degli anni ‘80 dello scorso secolo, grazie all’impegno e all’intuizione di un giovane e allora sconosciuto vignaiolo, Walter Massa. Il suo grande impegno, rapidamente affiancato da quello di suoi numerosi colleghi, ha portato a una seconda primavera di questo vitigno che attualmente riscuote grande interesse sia in Italia sia all’estero.
Presente e futuro della Denominazione nelle parole del Presidente del Consorzio, Gian Paolo Repetto
Le risposte che seguono, scritte direttamente dl Presidente del Consorzio, spero aiutino a comprendere il futuro di un territorio che, divenuto assai più consapevole delle proprie potenzialità vitivinicole, paesaggistiche e turistiche, si sta facendo sempre più notare in Italia e all’estero per l’interesse delle sue proposte.
Gian Paolo, negli ultimi anni il timorasso ha raccolto numerosissimi consensi fra gli appassionati e gli addetti ai lavori: ci potresti delineare un quadro dello stato dell’arte e, soprattutto, degli sviluppi futuri con particolare riferimento alla futura sottozona Derthona?
Posso dire che i produttori hanno fatto un grande lavoro di squadra per far crescere questa questo vitigno all’interno della Denominazione, che trova nelle nostre terre il terroir ideale per esprimersi al meglio. Abbiamo deciso, in maniera pressoché unanime, di usare il nome Derthona, marchio registrato in uso al Consorzio, ed abbiamo avviato l’iter per la sottozona Derthona, che sarà dedicata esclusivamente al timorasso, che contiamo di avere operativa per la prossima vendemmia; a oggi abbiamo circa 150 ettari di impianti, non ancora tutti in produzione, e abbiamo in programma di arrivare a 350 per il 2030, contingentando le autorizzazioni per poterci permettere di governare la crescita.
Come è accolto il timorasso sui mercati nazionali ed esteri? Quali sono gli aspetti più apprezzati dai consumatori?
Il timorasso sta riscuotendo un grande successo su mercati come Stati Uniti, Canada, Inghilterra, nord e centro Europa, oltre all’Italia che rimane il primo mercato: sono infatti pochi i ristoranti italiani di livello che oggi non abbiano in carta un Derthona; diversa è la situazione dell’Asia, ad eccezione del Giappone, dove per un vino così complesso c’è ancora molto da lavorare. Per il consumatore evoluto penso che il Derthona sia il bianco italiano da invecchiamento di riferimento, caratteristica che abbiamo la necessità di comunicare perché, se si vuole ottenere il meglio da un timorasso, bisogna imparare ad aspettarlo, così da potersi godere le note evolutive classiche del vitigno.
Il territorio, inteso come aspetti paesaggistici e capacità ricettive, è sempre più parte integrante del successo di una Denominazione: quanto è attualmente diffuso l’enoturismo nei Colli Tortonesi e quali potrebbero essere le azioni volte a incentivarlo?
Il nostro territorio ha un grande vantaggio: per anni è rimasto indietro rispetto ad altri più noti, questo ci ha però permesso di mantenere intatta la biodiversità, che spesso si è persa in altre zone. Da noi si possono ammirare paesaggi generati dalle diverse colture e questo fatto restituisce panorami da cartolina ogni giorno dell’anno, oltre a fornire le materie prime per la nostra ristorazione, eccellenza del territorio: abbiamo tartufo bianco, funghi e prodotti come il salame Nobile del Giarolo e il formaggio Montebore, oltre alla frutta, cereali e ortaggi, tutto a km0, che affiancano il vino a dar lustro al territorio. Dal punto di vista ricettivo, ci mancherebbero alcune strutture di maggiore dimensione ma stiamo coordinandoci per mantenere in rete le strutture esistenti, in modo da poter ricevere anche gruppi numerosi e chissà che, come per il vino dove siamo stati capaci di attrarre realtà di respiro internazionale, anche per il turismo non succeda presto lo stesso.
Il timorasso nel calice: la degustazione
Vitigno dalle ottime possibilità di invecchiamento, il timorasso regala vini giovani dal frutto piacevole e fragrante spesso affiancato da evidenti sensazioni agrumate; all’assaggio si mostra fin da giovane di ottima struttura e vibrante freschezza oltre che di netta sapidità e lunga persistenza. È, però, col trascorrere degli anni che il suo quadro olfattivo si arricchisce in eleganza e complessità sviluppando le tipiche sensazioni di idrocarburo affiancate da sentori agrumati sempre più marcati nonché da interessanti note floreali e, spesso, di miele.
Nel corso della degustazione, svoltasi presso la sede del Consorzio il giorno 11 settembre 2019, ho avuto il piacere di degustare 21 differenti campioni suddivisi fa il 2017 (5), 2016 (3), 2015 (5), 2014 (1), 2013 (1), 2012 (3), 2011 (1) e 2010 (1) oltre a un assaggio di uno spumante metodo Martinotti annata 2018.
Il racconto che seguirà non vuole affrontare le singole etichette degustate bensì delinearne il quadro complessivo emerso dalla degustazione evidenziandone l’evoluzione nel tempo.
2018
Rappresentato solo da uno Spumante Metodo Martinotti Brut Colli Tortonesi Doc Terre di Libarna, il 2018 ha offerto con questo assaggio un naso ricco di frutta bianca croccante alla quale si affiancano piacevoli note citrine e garbate sensazioni di mandorla dolce tostata. Il sorso, assai fresco, teso e vibrante, spicca per la piacevolezza di beva, la gradevole effervescenza e la più che buona persistenza.
2017
L’annata ha proposto, per quanto riguarda i campioni degustati, vini connotati da un frutto giallo ricco e maturo, a ricordarci un’annata particolarmente calda calda e siccitosa, affiancato da frequenti note di erbe provenzali oltre che da una evidente verticalità balsamica talvolta marcatamente mentolata; praticamente sempre presenti le sensazioni agrumate di cedro fresco, quelle floreali della ginestra oltre ai sentori minerali della pietra focaia.
All’assaggio, la vena acida e la buona sapidità offrono loro sostegno e carattere, pur pagando anch’esse il costo di un’annata climaticamente difficile; la ricchezza del corpo e l’evidente morbidezza gli conferiscono ampiezza e rotondità.
2016
Vini dal bouquet mediamente meno evoluto rispetto al più giovane 2017, si fanno notare per la fragranza della frutta, sia bianca sia gialla, oltre che per le belle note agrumate riconducibili al bergamotto e al cedro; soltanto accennati i sentori di idrocarburo e meno frequenti le sensazioni balsamiche; la componente floreale riporta i nostri sensi al biancospino. A completare il quadro, ancora presenti i profumi delle erbe provenzali accompagnati, talvolta, da sfumature più dolci che rimandano al confetto e allo zucchero filato.
All’assaggio, un’annata equilibrata nella quale la tipica freschezza e l’altrettanto ben presente sapidità risultano ottimamente integrate in un sorso ricco di corpo e morbidezza; sempre più che adeguate le persistenze.
2015
La luminosità di questi vini, che sfoggiano colori compresi tra il paglierino intenso e il dorato, introduce a cinque etichette nel quale il frutto, generalmente giallo, torna a regalare sensazioni più mature affiancate da note di cedro e bergamotto spesso canditi. Il fil rouge con gli assaggi precedenti è garantito dalle erbe provenzali. Un ampio panorama di sensazioni differenzia i diversi campioni spaziando dal cioccolato bianco alla mela cotogna, dai fiori di ginestra al miele di tiglio e di castagno; lievi sentori di pietra focaia e di idrocarburo, da ultimo, ci ricordano il vitigno di origine.
Figli di un’altra annata assai calda, questi vini sfoggiano grande corpo e altrettanto spiccata morbidezza, retti da nitide freschezze e da ben presenti sapidità; sempre più che soddisfacenti le persistenze. In generale, spiccano per la piacevolezza della beva che, pur se generalmente impegnativa, riesce comunque sempre a chiamare il sorso successivo.
2014
Rappresentata da una singola etichetta, l’annata 2014 – ben nota per le abbondanti precipitazioni e le basse temperature estive – ha offerto un assaggio dal lucente color paglierino e da un panorama olfattivo ancora giovanile e connotato da note di mela e pesca a polpa bianca, entrambe fragranti, oltre che da note di cedro fresco, fiori di tiglio ed erbe aromatiche; una nitida vena balsamica gli conferisce un’elegante verticalità; nel complesso, un naso che lascia presupporre un’ancora lunga e positiva evoluzione.
Tale positiva futura evoluzione trova conferma al palato, rivelandosi un vino di ottima beva, fresco e vibrante – ma nel contempo ampio e ricco – e capace di sfoggiare un ottimo corpo e una ben presente morbidezza oltre che un’adeguata persistenza.
2013
Un’altra annata rappresentata da un singolo assaggio che si presenta allo sguardo di un luminoso color dorato chiaro. Al naso, offre intense e fini note di mela e albicocca mature oltre che piacevoli sentori agrumati di cedro fresco; la felice combinazione dei sentori delle erbe aromatiche e di una marcata sensazione di mentolo conferisce all’insieme una spiccata tridimensionalità olfattiva.
Il sorso è teso, vibrante e spiccatamente fresco ma, nel contempo, ricco e di ottimo corpo dando così vita a un unicum dall’equilibrio ben compiuto per se ancora attraversato da influssi giovanili; lunga la persistenza.
2012
Vini ancora vivi che certo non mostrano le sette vendemmie ormai trascorse, questi tre assaggi del 2012 sfoggiano tonalità comprese tra il paglierino e il dorato rese di particolare fascino dalle eccellenti luminosità. I loro bouquet condividono l’intensità e la piacevolezza della frutta a polpa gialla matura oltre alle note delle erbe officinali. Ciascuna etichetta, con gli anni, ha saputo sviluppare una propria personalità regalandoci talvolta sentori di cioccolato bianco o cedro candito, talvolta sensazioni di corteccia di china, resina o idrocarburo fino a giungere alle sensazioni floreali della ginestra o a quelle intensamente balsamiche del mentolo.
L’assaggio conferma l’eccellente evoluzione di questi vini che si presentano ancora sostenuti da una vibrante spalla acida che dona nerbo ed equilibrio alla pienezza del corpo e la sempre ottima morbidezza offrendoci così una beva capace di chiamare il sorso successivo; anche le persistenze si confermano all’altezza delle aspettative.
2011
Annata rappresentata da una singola etichetta che, già in virtù del cristallino color dorato, svela un vino che ha saputo sostenere autorevolmente gli anni trascorsi. Il naso, fine e di più che buona intensità, apre con le note fruttate e mature della mela Golden e dell’albicocca alle quali si affiancano quelle agrumate del cedro candito; il bouquet trova il suo pieno completamento nelle immancabili sensazioni di erbe provenzali oltre che nel profumo dolce e garbatamente vanigliato del cioccolato bianco.
Al palato, si offre ampio e ricco grazie al gran corpo e all’altrettanto notevole morbidezza mentre l’equilibrio è garantito dalla tesa freschezza e dall’evidente sapidità; assai lunga la persistenza.
2010
Quest’ultima annata, anch’essa rappresentata da una singola etichetta, si offre nel calice di un cristallino color dorato, che ci introduce a un bouquet nel quale la ricchezza delle note di albicocca e mela, entrambe ben mature, condividono il palcoscenico olfattivo con i sentori del miele di castagno e del cedro candito oltre che con le sempre ben presenti sensazioni di erbe aromatiche; una lieve ed elegante sfumatura di idrocarburo nel completa il tipico quadro olfattivo.
Il sorso – ampio, teso e dalla beva facile ma di grande personalità – sfoggia un ottimo corpo e una notevole morbidezza che trovano il loro contraltare nell’ancora vibrante freschezza e nell’evidente sapidità; lunga la persistenza.
Da quanto degustato, pertanto, emerge un vitigno che, come già ben noto, è capace da un lato di evolvere lungamente in bottiglia e, dall’altro, di raccontare gli aspetti climatici delle annate che lo hanno visto nascere. Una nota di merito è certamente dovuta ai tanti vignaioli che, negli anni, sono riusciti a interpretare in chiave attuale un vitigno antico senza mascherarne le caratteristiche ma, al contrario, valorizzandole e permettendogli in tal modo di regalare a tutti noi sempre nuove emozioni.
Ringraziamenti
Il mio più sentito grazie è rivolto al Consorzio e, in modo particolare, al suo Presidente – Gian Paolo Repetto – per la squisita ospitalità e la grande disponibilità dimostrata nei miei confronti.
È, però, evidente che il grazie più grande è riservato a tutti i vignaioli dei Colli Tortonesi che quotidianamente si impegnano per permetterci di godere del frutto del loro lavoro con un pensiero particolare rivolto alle seguenti Aziende che hanno cortesemente fornito i campioni degustati: