Il Roero, dove la vite chiede permesso
Dimenticare come zappare la terra e curare il terreno
significa dimenticare sé stessi.
Mahatma Gandhi
Tempo fa Carlo Petrini disse: “L’agricoltura, che dovrebbe fondarsi su un’alleanza tra uomo e natura, è diventata invece una guerra”. Un’immagine triste, ma veritiera, che dipinge un quadro a tinte fosche del nostro rapporto col Pianeta che ci ospita. Dato, però, che a ogni regola corrisponde almeno un’eccezione, ecco che, fin dalla prima volta che visitai le colline del Roero una decina di anni or sono, ebbi la sensazione che qui – fra ripidi pendii, castelli, vigneti, frutteti e boschi – Uomo e Natura avessero imparato a vivere in pace, nel reciproco rispetto e che il primo avesse imparato a rinunciare ad avere il troppo per garantirsi il giusto, mentre la seconda si fosse “convinta” a concedere il giusto senza dover rinunciare a tutto.
Oggi ho la fortuna di percorrere spesso le strette strade che avvolgono come una ragnatela questi colli e il senso di meraviglia, di equilibrio e di pace che provai la prima volta continua a rinnovarsi dietro a ogni curva o in cima a ogni versante, quando nuove meraviglie si offrono al mio sguardo che mai può stancarsi di ciò che è bello.
Il Roero è diverso, è strano, è aspro e dolce, coltivato e selvaggio, abitato e deserto: la vite – signora discreta che chiede senza imporre e offre senza vantarsi – ne tratteggia contorni tra i quali sorgono castelli e precipitano ripide pareti mentre i frutteti, discreti e quasi timidi, continuano a ricordarci quanto possa essere feconda la mano dell’Uomo che accarezzi la Natura senza opprimerla.
Il Roero per me è Utopia, è la Città del Sole di Tommaso Campanella, è la speranza di un diverso modello di sviluppo, è la voce di Gene Wilder in Frankenstein Junior che grida al mondo: “Si può fare!”
Il Roero e il suo territorio
Il Roero, il cui nome prende origine da una delle più note famiglie astigiane – quella dei Roero, Rotari, Roverio o Roure – che con le proprie molte linee famigliari, grazie ad acquisti ed infeudazioni, occuparono l’area della provincia di Cuneo che ancora oggi conserva il loro nome. La zona, che da un punto di vista geografico comprende 22 comuni, è situata a Nord di Alba, sulla riva sinistra del Tanaro, tra la pianura di Carmagnola e le basse colline dell’Astigiano. È, importante ricordare che, nel 2014, i paesaggi vitivinicoli del Roero, insieme a quelli di Langhe e Monferrato, sono stati dichiarati Patrimonio Mondiale UNESCO in quanto “eccezionale testimonianza vivente della tradizione storica della coltivazione della vite, dei processi di vinificazione, di un contesto sociale, rurale e di un tessuto economico basati sulla cultura del vino”
L’economia della zona è, infatti, da secoli strettamente legata alla viticoltura e alla frutticoltura. Ancora oggi, numerose sono le antiche varietà di pere, pesche, susine e uva da tavola tipiche di queste colline; a titolo di esempio cito la pera Madernassa, la susina “Ramassin del Roero”e un vitigno da tavola autoctono, l’Uva molle di Montaldo, ormai quasi scomparso.
Su grande scala, i suoli occupati dalla vite in Roero derivano da depositi marini del tardo Miocene (Messiniano, 7,2-5,3 milioni di anni fa) e del Pliocene (5,3 – 2,5 milioni di anni fa) e sono rappresentati da successioni di argille, marne e sabbie con una buona presenza carbonatica; la sabbia, in particolare, rende il terreno sciolto e gli conferisce sofficità e grande permeabilità. In realtà, la situazione è molto più articolata e complessa e rappresentata da numerosi suoli differenti, spesso tra loro articolati a formare un mosaico assai complesso nei quali troviamo dominanti, di volta in volta, sedimenti sabbioso-ghiaiosi continentali, sedimenti sabbioso-marini e sedimenti argilloso-marini. La porzione nord-occidentale a quote di circa 350m s.l.m – la cosiddetta “Linea delle Rocche” – vede la dominanza di suoli poco calcarei, particolarmente ricchi di sabbia di origini lacustre – fluviale, sciolti e leggerissimi. Verso oriente, a quote inferiori, dominano le sabbie silicee di origine marina miocenica con scarso calcare superficiale e grande abbondanza di fossili; tali suoli soffrono di una forte aridità edafica dovuta alla loro grande permeabilità alle acque meteoriche. La parte centrale dell’area, di origine pliocenica, è invece dominata da suoli limoso-argillosi ricchi di calcare.
Le precipitazioni medie sono comprese fra i 650 e i 720mm annuali, fatto questo che rende il Roero l’area più povera di piogge di tutto il Sud Piemonte; tali precipitazioni si concentrano tra ottobre e gennaio e sono fondamentali per l’aumento delle riserve del sottosuolo.
Il Roero vitivinicolo: i suoi vini e i suoi vitigni
Il Consorzio e le Denominazioni di Origine Controllata e Garantita
L’area del Roero Docg comprende, interamente o in parte, 19 dei 22 comuni facenti parti del Roero geografico. Nel 2014, è stato costituito il Consorzio Tutela Roero “allo scopo di svolgere le funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale degli interessi relativi alla Docg Roero”che oggi può contare su circa 300 iscritti fra produttori e viticoltori che gestiscono circa 1.000ha di vigne dalle quali sono prodotte 6.000.000 di bottiglie destinate per circa il 60% ai mercati esteri. Il Roero Docg è prodotto, da disciplinare, esclusivamente da uve Nebbiolo mentre l’Arneis è impiegato in purezza per la produzione del Roero Arneis Docg. Nel 2017, sono state definite e approvate le Menzioni Geografiche Aggiuntive la cui mappa è consultabile e scaricabile a questo link.
I vitigni: un tesoro che nasce dall’Uomo e dalla terra
Arneis
Il nome Arneis sembra derivare da Renexij, ovvero la località Renesio di Canale; la prima menzione scritta di tale vitigno è da ritenersi essere quella del Di Rovasenda nel 1877 anche se potrebbe essere stato menzionato nel 1432 a Chieri con il nome latino di Ranaysii, termine a sua volta probabilmente derivato da Reneysium, ovvero il nome in uso dal 1478 per l’attuale Bric Renesio nei pressi di Canale.
Ampiamente diffuso per secoli in tutto il Roero, l’Arneis declinò nel corso del XX secolo e rischiò di scomparire dopo il secondo conflitto mondiale ma fu salvato da un piccolo gruppo di produttori tra i quali è giusto ricordare Giovanni Negro e Bruno Giacosa nonché l’Azienda Vietti. Attualmente, sono iscritti alla Docg circa 850ha di vigneti ad Arneis.
Nebbiolo
Troppo è stato scritto e troppo dovrei scrivere per dare un quadro anche solo vicino all’essere completo delle caratteristiche, della storia, delle origini e delle qualità organolettiche di questo immenso vitigno. Mi limiterò, pertanto, a riportare – tradotto – quanto scritto da Ian D’Agata nel suo recente volume “Native wine grapes of Italy” pubblicato per i tipi di University of California Press, Berkeley: “Il Nebbiolo è il più grande vitigno autoctono d’Italia e, per molti esperti, una delle cinque o sei più grandi varietà del mondo” (v. pag. 353-354). Per quanto possa valere, io sono d’accordo!
Barbera e Dolcetto
Queste due varietà che, nell’immaginario collettivo così come nella realtà, rappresentano, insieme al Nebbiolo, il cuore rosso del Piemonte vitivinicolo, sono tutt’oggi ben rappresentate nel Roero anche se non partecipano alla base ampelografica della Docg. Nonostante l’importanza, le eccellenti caratteristiche e l’ampia diffusione di cui godono nella Regione, poco o nulla è noto sulle loro origini e sulle loro parentele.
Favorita
Vitigno a bacca bianca coltivato, anche se non molto diffuso, nell’area compresa fra Alba, Mondovì e Cuneo è presente in Roero dove viene vinificato e ammesso alla produzione del Langhe Doc Favorita. Ricerche biomolecolari, svolte nella prima metà degli anni ‘90, hanno dimostrato che la Favorita e il Pigato della Riviera Ligure di Ponente sono coincidenti con il ben più diffuso Vermentino.
Bragat rosa
In Piemonte numerose sono le varietà aromatiche a bacca nera e fra queste ben quattro sono frequentemente chiamate con il nome di Brachetto, ovvero il Brachetto propriamente detto, il Brachetto Migliardi, detto anche Brachetto di Montabone, un altro Brachetto sporadicamente coltivato nella zone di Nizza Monferrato e il Brachetto a Grappolo Lungo o Brachettone, recentemente inserito nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite con il nome di Bragat (codice 491) tipico proprio del Roero; in tale zona, prima della fillossera, era ampiamente coltivato in tutti i Comuni come uve a duplice attitudine.
Attualmente, pur se fortemente ridotto come superficie vitata è ancora presente ed è vinificato prevalentemente dolce e frizzante in forma di mosto d’uva parzialmente fermentato. In passato, era prevalentemente utilizzato nella produzione di un vino aromatico fermo e secco; tale tipologia è prodotto pur se da un numero davvero ristretto di aziende roerine.
Consorzio tutela Roero
Via Roma, 20
12043 Canale (CN)
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