• Mer 11 Set 2024

Il mio Oltrepò Pavese: Mario Maffi ci racconta la viticoltura oltrepadana attraverso i suoi occhi

Mario Maffi, per 32 anni enologo dell’azienda Montelio di Codevilla, rappresenta non solo la memoria storica della viticoltura dell’Oltrepò Pavese: Mario ama questa terra come un padre ama suo figlio. La ama per i suoi pregi e per i suoi difetti, ne capisce i pensieri e lo spirito più profondo. E la Sua terra lo ricambia: in ormai parecchi anni di assidua frequentazione di queste colline, di colloqui con tanti produttori o con semplici appassionati, Mario emerge come un punto di riferimento per tutti. Mario è stato un mio docente durante i miei primi passi in Onav e nel mondo dell’assaggio e ora è – come per tutti del resto – un punto di riferimento a cui rivolgersi per una spiegazione o un parere.

Più semplicemente, Mario Maffi è…Mario Maffi.

Mario Maffi, il testimone degli ultimi decenni di vitivinicoltura in Oltrepò: potrebbe descrivere – in modo sintetico – questo suo affascinante percorso in un territorio così carico di potenzialità e contraddizioni?

Un percorso lungo e tortuoso, comunque affascinante; dapprima, fine anni sessanta – inizio anni settanta del secolo scorso, il contatto coi grandi maestri del mondo vitivinicolo, allora ancora ben presenti: enotecnici, avvocati, ingegneri e altri uomini di cultura. Poi, fine anni settanta – inizio anni ottanta – il dialogo con personaggi carismatici quali il Duca Denari, l’Assessore regionale Ernesto Vercesi, Carlo Boatti, Edgardo Rovati e altri amici. A seguire l’avvento di giovani appassionati e di imprenditori, che hanno creduto e investito fortemente per il territorio; emerge la volontà di evolversi, di migliorare, ma condizionata dall’individualismo e dalla filosofia radicata, in tanti piccoli produttori ed in alcuni commercianti, “meglio l’uovo oggi che la gallina domani”.

Durante tutto il percorso, comunque, la certezza che solo il vino di qualità unitamente all’identificazione di poche tipologie che sappiano identificare il territorio potranno elevare l’Oltrepò Pavese.

Oltrepò e Milano: un rapporto d’odio e amore. Da un lato un grande mercato, dall’altro l’immagine di un territorio dove comprare vino in damigiana da imbottigliare in cantina. Come ha visto cambiare questo rapporto e come crede si potrà evolvere nei prossimi anni?

Ho visto scaricare a Milano e dintorni camionate di damigiane targate Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e non solo. Non penso sia questo il vero motivo che ha portato ad un rapporto di odio e amore: lo identifico maggiormente con la città multiculturale e, quindi, con le richieste diversificate del mercato, nonché con la convenienza di chi movimenta il vino di snobbare le aree produttive facilmente raggiungibili. I problemi del nostro territorio sono, infatti, estendibili ai Colli Piacentini, Tortonesi e, anche, al Monferrato.

Una delle caratteristiche sotto gli occhi di chiunque visiti le cantine oltrepadane è il gran numero di referenze prodotto, spesso a fronte di produzioni aziendali complessivamente esigue. A seguito della sua grande esperienza, questa scelta può ancora essere considerata vincente o potrebbe essere opportuno concentrare la produzione verso i vitigni e i vini per i quali i singoli territori mostrano la maggior vocazione?

Troppe le tipologie dei vini oltrepadani e, spesso, troppe le referenze proposte dalle aziende locali. Una realtà che si trascina da molto tempo, favorita dalla vicinanza di zone densamente popolate.

Tale scelta commerciale può essere considerata ancora percorribile dalle aziende famigliari di piccole dimensioni, che identificano il maggior reddito nella vendita diretta al consumatore finale; per le altre realtà produttive è auspicabile ridurre le proposte aziendali legandole al terroir, ai vitigni e ai relativi vini, simbolo dell’area interessata.

Le recenti modifiche ai disciplinari hanno ulteriormente aumentato le Denominazioni oltrepadane e la loro base ampelografica: quale la sua opinione a riguardo?

A fine anni novanta, su richiesta di alcuni soci, i tecnici del territorio si sono riuniti varie volte per ridurle. Ho partecipato ai primi due incontri: più che sufficienti per capire che si trattava di una causa persa.

Oltrepò e Bonarda: un binomio vincente o un rapporto ormai troppo limitante?

Quale bonarda? Considerando la versione frizzante, in quanto la più diffusa, rispondo: è un binomio vincente! L’unicità e l’immediatezza del prodotto, simbolo indiscusso del territorio, lo rendono una certezza con un ampio margine di miglioramento. Mi riesce, però, difficile, capire il binomio fra gli oltrepadani e la bonarda.

Pinot nero e Oltrepò: grandi uve e grandi vini. Quali, a suo avviso, i prodotti su cui concentrare gli sforzi e gli investimenti e quali le strade per migliorarne l’immagine commerciale nel resto d’Italia e all’estero?

Certamente l’eleganza e la nobiltà del Pinot nero in rosso impongono una scelta precisa; è altrettanto vero che la nostra zona è la maggior produttrice a livello nazionale di Pinot nero per base spumantistica. Penso sia indispensabile, per il futuro, allentando al storica sudditanza che condiziona il comparto, aumentare la produzione di bottiglie in loco.

Sono anche convinto che possano correttamente convivere il metodo classico e il Martinotti: indispensabile è, però, il rispetto della zonazione, l’unità di intenti e ben determinare il concetto di qualità.

Moradella, Vermiglio, Uva della Cascina, Mornasca: ecco alcuni antichi autoctoni oltrepadani. Che ruolo prevede per queste varietà nel futuro enoico oltrepadano?

Il recupero di alcuni autoctoni è una meta obbligata; ad esempio, i vitigni Moradella, Vermiglio e Uva della Cascina sono storia integrante del territorio. Bisognerà – però – rispettare l’unicità dei vini prodotti. Conoscendo i miei conterranei non vorrei ritrovarmi il vermiglio fermo, invecchiato, frizzante e, magari, spumante.

La ristorazione lombarda guarda con distacco e diffidenza ai prodotti d’Oltrepò: senza addentrarsi nella cause di questo stato di cose, quali a suo avviso le strade per consolidare i rapporti tra questi due anelli fondamentali della filiera?

A). Già dalle scuole inferiori bisognerebbe dare il giusto rilievo al territorio d’appartenenza, illustrandone le varie realtà storico – geografiche e produttive. Non si dovrebbe, inoltre, trascurare la cultura del cibo e del vino che madre natura ci ha dato, privilegiando il rapporto essere umano = ambiente nel rispetto delle stagionalità.

B). Gli Enti preposti alla tutela dei prodotti locali dovrebbero incrementare l’opera di divulgazione ed educazione al consumo dei cibi e dei vini territoriali con particolare attenzione rivolta a quelli più significativi.

C). Determinante sarebbe inculcare negli operatori locali, non solo vitivinicoli:

la cultura del territorio

il gioco di squadra

l’importanza dell’ospitalità

le buone regole per i rapporti commerciali

Paesaggi stupendi, ottimi vini, ottima gastronomia e ristorazione di livello: nonostante tutto ciò l’Oltrepò è rimasto ai margini dei grandi circuiti enoturistici. Come vede lo sviluppo futuro di questo comparto potenzialmente strategico per l’economia del territorio?

Ben detto: ambiente meraviglioso e prodotti di qualità potenziale enorme. Negli ultimi anni si sono ravvisati segnali di miglioramento, ma poco significativi. Per lo sviluppo futuro? Come ho già risposto al punto precedente: maggiore imprenditorialità.

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