Anteprime 2015: Amarone alla riscossa
Se dopo una salita c’è sempre una discesa, niente di più vero si può dire per la nuova promettente annata del Re della Valpolicella. Dopo la performance decisamente “complicata” del 2014 – povera in termini di imbottigliato, davvero poco compassionevole verso i produttori per pioggia, freddo e chi più ne ha più ne metta – mi trovo a degustare e raccontare un’annata strepitosa.
Troppo facile forse: un tripudio di complimenti, punteggi alti si sprecano, ottimo potenziale ovunque, ogni banco è una sorpresa… sì troppo facile, lo ammetto. Ma è andata così, e dovrò portare il fardello di questa anteprima tra le più belle degli ultimi decenni dedicate al grande rosso veneto.
Un Amarone di nuova generazione
Ma non è solo l’annata fortunatissima a tenere alto il mio umore. C’è altro, una sferzata di giovinezza, respiro aria fresca, e non solo nel calice. Girando tra i banchi dei produttori, mi ha particolarmente colpito una tendenza che strizza l’occhio alle esigenze di un consumatore più attento, “premium” come viene definito, un trend che ascolta il gusto e le opinioni delle giovani generazioni. I cosiddetti “millenials”, che non solo energizzano il mercato del vino degli ultimi anni – preparati, attenti ed esigenti nei confronti del prodotto – ma anno dopo anno rappresentano anche una fetta sempre più grande della produzione stessa.
Sì, perché se da un lato abbiamo sempre più giovani appassionati disposti a spendere più della media e a bere in maniera più diversificata e consapevole, con propensione verso etichette europee e made in Italy (negli USA per esempio il 38% dei consumatori premium è under 35 e mette in cantina il 59% di vini italiani, percentuale trainata da Valpolicella, Amarone, Chianti e Prosecco), dall’altro c’è una nuova generazione di giovani conduttori agricoli a cui è stato passato il testimone della futura economia dell’Amarone. Questo è lo scenario inquadrato dal Consorzio Tutela Vini della Valpolicella, che, grazie alla ricostruzione di Avepa (Agenzia Veneta per i pagamenti in agricoltura), ci spiega come negli ultimi sei anni il numero di imprese vinicole under 40 del territorio sia quasi raddoppiato, un dato ben superiore alle medie nazionali. E questo chiaramente, senza fare retorica, si traduce in innovazione e sperimentazione, sia in vigneto sia in cantina, senza mai perdere di vista la bussola della tradizione.
Le degustazioni
Iniziamo con la carrellata di assaggi della “Valle delle molte cantine”, in una terra che si divide tra la storicità verace della Valpolicella Classica e l’“allargamento” – dalla Valpantena a Illasi – che dà spazio e libertà d’espressione (e che espressione) a molti.
Nel corso dei miei assaggi, tra scoperte o riscoperte interessanti – dal mio punto di vista – e solite riconferme, ho avuto il piacere di imbattermi in tanti giovani (chi più, chi meno) che, per cambi generazionali o coraggiose scelte imprenditoriali, mi hanno conquistato con racconti familiari, sogni e scelte produttive. Ho stilato così una personale classifica di chicche ‘top eight’ che ho maggiormente apprezzato nella mia 8-ore di degustazioni.
Falezze
Andiamo a Illasi. Falezze, giovane azienda agricola familiare condotta dal giovane Luca Anselmi, biologo molecolare con laurea specialistica in genomica funzionale. Ho di fronte il produttore che ha stregato Til Schweiger, mi racconta con emozione: dopo il premio al concorso Mundus Vini, l’attore tedesco ha incaricato Anselmi di realizzare per lui il “Valpolicella Ripasso Superiore Valentin”. Ma torniamo all’Amarone. Illasi, zona allargata della Valpolicella, da qui si domina la vallata di Mezzane. Una produzione di circa 10.000 bottiglie l’anno da suoli con substrato calcareo, che nella parte più profonda presentano una tessitura argillosa-sabbiosa, garantendo quindi buon drenaggio. La penetrante balsamicità dell’anteprima dell’Amarone 2015 di Falezze attira subito la mia attenzione, una nota quasi mentolata, molto fine. Frutti rossi, ovviamente, spezia, cuoio… innegabile complessità. In bocca prevalgono freschezza e buona acidità, accompagnate da una decisa struttura tannica e persistenza.
Corte Sant’Alda
Restiamo un attimo in zona, precisamente a Mezzane di Sotto, da Marinella Camerani. Oltre all’affetto che mi lega a questa azienda, c’è anche una reale stima nei confronti di questa vulcanica produzione. E non mi riferisco ai suoli, che sono a medio impasto calcareo. Mi riferisco all’energia unica di questa donna, inevitabilmente trasmessa alla giovane figlia Federica, che mi ha accolto al banco. 33 anni di attività, con la biodinamica nel cuore dal suo primo incontro con Nicolas Jolie (e forse anche da prima), e certificata in vigna da quando i tempi di conversione glielo hanno permesso (Demeter), Marinella riesce sempre a farmi amare i suoi vini. Federica propone in assaggio alla stampa due prove di botte 2015, provenienti da due botti e da due vigneti diversi. Non mi sta presentando dunque l’Amarone che sarà in bottiglia, ma le sue componenti. La prima prova è il “vigneto dietro casa” a 350 m slm a Mezzane di sotto con fermentazione in legno, mentre la seconda arriva dai vigneti di Adalia, che sorgono in località Molinetto, nel versante ovest della vallata a quota 200/300 m con fermentazione in acciaio e utilizzo anche di molinara in uvaggio. Poi affinamento per entrambi in botte di rovere. Mi colpisce tantissimo l’assaggio numero due, un sorso autentico. Freschezza, frutta rossa matura, prugna, cuoio, spezie delicate… Infine, dovrei parlare solo di anteprime, ma non posso non segnalare il loro 2010. Un’evoluzione bellissima, tripudio di tabacco, cuoio, spezia… e ancora fresco.
Monte del Frà
Ci spostiamo nella Valpolicella Classica – sulle colline di Fumane, lungo il torrente Lena – nella tenuta di proprietà della famiglia Bonomo dal 2006, interamente dedita all’azienda, dalla vigna alla cantina (gli enologi sono Claudio e Massimo Bonomo), alla vendita, alle pubbliche relazioni, all’accoglienza. Al banco di Monte del Frà incontro Silvia Bonomo, terza generazione, che mi parla dell’attenzione meticolosa riposta in ogni fase di produzione, della scelta di lavorare uve della tipicità veronese in maniera sostenibile, del loro approccio moderno e d’avanguardia che ritroviamo sia in cantina – per 4 ore a notte la sala barrique è sottoposta a trattamento con raggi UV per abbattere microorganismi e muffe e di conseguenza ciò riduce notevolmente la quantità di solfiti aggiunti – sia in bottiglia, con uno stile ben riconoscibile che riposa per 6/8 mesi prima di essere messo in commercio. L’anteprima Amarone della Valpolicella Classico Lena di Mezzo 2015 è ricca: intensa, inspiro la Valpolicella classica, una crostata di ciliegie, predominano note di cuoio e tabacco. Un tannino ben integrato in un sorso di buona struttura.
Recchia
Recchia, Jago di Negrar, per quanto mi riguarda altro nome sinonimo di qualità per i vini della Valpolicella. E in questa annata, decisamente facile da apprezzare e giudicare, non ha deluso le mie aspettative. Azienda storica di famiglia, nel loro vino si beve passione, tradizione e saper fare, con lo sguardo della nuova generazione proiettato al futuro. Quello che assaggio è il loro Amarone Classico Masùa di Jago, il più tradizionale, imbottigliato da due settimane, le cui uve Corvina, Corvinona e Rondinella arrivano dalle pendici occidentali del Masùa appunto, il colle che separa il comune di Negrar da Marano. Respiro una piacevole complessità, fatta di frutti rossi, ciliegia in confettura che si mescolano a sentori di cuoio, cannella e note eteree. Ampio in bocca, pungente con buona acidità, tannino vivido e promettente.
Roccolo Grassi
Di nuovo a Mezzane di Sotto (VR), mi trasferisco da Roccolo Grassi. In realtà è stata la mia degustazione di chiusura, nel vero senso della parola, stavano gentilmente chiedendo di uscire dalla Gran Guardia. Altra realtà familiare che vuole produrre poche bottiglie – il numero varia ovviamente in base all’annata – di alto livello qualitativo. Un grande ritorno, si può dire, visto che nel 2014 i proprietari Marco e Francesca Sartori scelsero di non produrre l’Amarone, in tutela del loro consumatore e per garantire una costanza qualitativa dei loro vini. E come dar loro torto. È di gran lunga meglio sfruttare appieno le annate eccezionali come questa! L’Amarone della Valpolicella 2015 che assaggio – in etichetta l’annata ancora scritta a penna – proviene dal vigneto Roccolo Grassi, 200-250 m slm, dove troviamo viti vecchie di 40 anni su terreni di origine vulcanica. Scuro nel calice, le note vegetali della gioventù si intrecciano a frutta rossa e sfumature balsamiche, erbacee e di sottobosco, prugna e liquirizia. Tannino ben equilibrato, non invadente che concede al vino buona struttura e morbidezza (in divenire).
Secondo Marco
Nella mia hitlist delle anteprime rientra anche Secondo Marco. Torno a Fumane, in 15 ettari vitati nel cuore della Valpolicella Classica, su terreni calcareo-argillosi. “La passione è il tempo dedicato ad affinare la qualità”, leggo sulla brochure sfogliata al banchetto, frase presa alla lettera dato che il campione di botte in assaggio farà altri due anni in botte più 12 mesi di affinamento in bottiglia. Lo berremo nel 2022. L’Amarone 2015 “secondo Marco” è di incredibile avvolgenza e complessità, sia al naso – dove incontro subito cioccolato, tostatura, liquirizia, pepe, frutta in confettura – sia in bocca, una sorsata calda dove ritroviamo tutto l’olfattivo, sapidità, lieve piccantezza, perfetto intreccio di tannini e acidità. Di corpo con una grande personalità. Cosa posso aspettarmi tra tre anni?
Vigneti di Ettore
Da Vigneti di Ettore mi accoglie un giovanissimo Gabriele, enologo e nipote di Ettore Righetti, attualmente alla guida dell’azienda di famiglia. Siamo a Negrar, colline tra 280 e 400 m slm, 30 anni età media delle viti, terreni argillosi con resti di attività vulcanica nella parte più alta. Dopo una vita a conferire uve alla Cantina Cooperativa di Negrar, l’azienda (20 ha di cui ad oggi 1/4 a conduzione biologica) da 10 anni si dedica alla produzione verticale di vini firmati Valpolicella. E proprio Gabriele, che porta nel cuore la storia e la tradizione di famiglia, rappresenta il futuro di questi vigneti. Assaggio il loro Amarone della Valpolicella Classico 2015: autentico, verace, pulito, il carattere delle varietà emerge in pieno. Freschezza e grande bevibilità, per una vinificazione che si intuisce poco invasiva, nel pieno rispetto del territorio d’origine. Bel rosso rubino, aiutato dall’utilizzo in uvaggio dell’uva Spigamonte, al naso marasca e spezia, sottobosco; al sorso tannino deciso e buona acidità garantiscono un invecchiamento coi fiocchi. Un vino di corpo, caldo – ma vi assicuro 16 gradi e non sentirli – e lungo.
Zýmē
Chiudo la classifica con Zýmē, San Pietro in Cariano, nome legato a un elemento fondamentale dell’enologia (“lievito” in greco), ma anche alla naturalità, valore basilare nel percorso lavorativo ed esistenziale del vignaiolo ed enologo Celestino Gaspari. Naturalità che si traduce chiaramente nel legame con la terra e valorizzazione del territorio, in un mutuo scambio tra frutti della terra e opera dell’uomo. Un team giovane e dinamico capitanato da Celestino, coinvolto in tutte le fasi della produzione e della distribuzione. Un’antica cava di arenaria – che spero di andare a visitare presto – ospita i vini in affinamento ed è la base della cantina di Zýmē e, in un certo senso, suggella questo fortissimo legame con la natura e la storia del territorio. Assaggio il loro Amarone Classico 2015 che farà ancora un bel po’ di affinamento prima di essere messo in commercio. La tipicità del territorio è impattante al naso, ciliegia, marasca e prugna secca che lasciano spazio anche a sentori di terra e sottobosco, pepe, tabacco, liquirizia e tostatura. Equilibrio in bocca, sorso caldo, tannino, acidità, sapidità, persistenza, tutto al posto giusto.
Per chiudere
Forse è un po’ limitante trovarsi a stilare un elenco di assaggi migliori quando quest’annata ha regalato vini eccezionali in ogni angolo della Valpolicella. Non ho realmente trovato un vino che non meritasse complimenti o che non fosse ben fatto (ormai è praticamente impossibile, annata a parte), ma ho voluto dare spazio a ciò che mi ha emozionato o colpito maggiormente, anche attraverso le parole dei produttori che hanno voluto dedicarmi un po’ del loro tempo.
Come non citare quindi Pasqua, con il suo Amarone figlio delle colline della Valpantena. Una certezza, dalle uve selezionate al calice di un intenso rosso rubino che regala ciliegie e more fresche, incantevoli note balsamiche, freschezza e sapidità, tannino un po’ soffice che accompagna una spiccata acidità. Albino Armani, Marano, mi fa assaggiare il suo Amarone “d’altura”, da vigneti situati a 500 m slm, con un’interpretazione singolare del grande rosso della Valpolicella, che fa poco uso del legno ed esce dagli schemi. Armani mi dice che “è il territorio a portare il risultato, un risultato che non guarda assolutamente all’Amarone Classico con timore. Negli ultimi anni la ‘tradizione’ – spinta dalla richiesta del mercato – è scesa verso la pianura, ma storicamente appartiene a queste altitudini”. Armani in un certo senso riporta in auge l’origine collinare dell’Amarone, trend che, aggiunge, strizza l’occhio alla Svizzera, agli USA e anche all’Italia.
E ancora Fattori (Terrossa), nella fascia più orientale della Valpolicella. Incontro Chiara, altra giovanissima di 4a generazione, che mi parla di biodiversità, dei vigneti di proprietà circondati dai boschi, al riparo dagli agenti atmosferici, del “bianco di Verona”, pietra bianco-giallastra che crea la struttura dei terreni argilloso-calcarei, della produzione sostenibile (a luglio 2018 è iniziata la conversione)… tutto questo si traduce in un calice rubino, che ai bordi lascia intravedere già del granato, una spiccata nota balsamica, eucalipto, marasca e tanta freschezza, mineralità e sapidità.
Come non citare Bertani (Valpantena), amarena, di nuovo il balsamico, il cacao, il caramello, spezia, tannini e acidità ben integrati. Infine Massimago, che mi colpisce molto per le originali etichette, dove assaggio due prove di botte provenienti da due vigneti diversi (uno a 100 m slm con terreni argillosi – già in bottiglia – e uno a 350 m slm con terreni calcarei, non ancora imbottigliato), mi convince di più il secondo, dove trovo maggiore struttura, più tipicità e freschezza.
Un’anteprima come forse non se ne vedevano da un po’, che andrà sicuramente a sollevare un già alto giro d’affari che nel 2018 si è chiuso a 334 milioni di euro, registrando un saldo negativo sul 2017 dovuto alla frenata sul commercio estero per effetto della povera 2014. Si prospetta un futuro più che roseo per Verona, prima provincia nazionale per export.