Yarden Pinot Noir 2009 : un vino buono
La mia curiosità si risvegliò nel momento stesso in cui udii il “click” della porta della camera d’albergo che richiusi alle mie spalle. Appresi che un pinot noir si aggirava tra i vini venuti da lontano che di lì a breve sarebbero stati degustati. Non ne sono mai stata vittima, né lo sono tutt’ora, forse per la confusione generata dalla perenne sfida a “replicare l’irreplicabile” quando si assumono dei riferimenti che diventano incondizionati ed incondizionabili, questa autoreferenziante ricerca di perfezione, mascherata da “espressione del terroir”, che, priva di parametri assoluti, diventa mutevole così come i risultati. Immagini virali di etichette, sesquipedali espressioni di giubilo nonché dotte enunciazioni dei guru della boccia spingono a cercare nel bicchiere ciò che non c’è o, peggio, a trovare ciò che si cerca, ma forse è proprio questa umana debolezza a spingermi a tanta curiosità.
Questo Pinot Noir non ha l’inculcato incanto dei rotacismi francesi, ha più il fascino di una terra quasi primordiale in una visione storico culturale. Non tiriamola tanto per le lunghe, parliamo di Israele e delle alture del Golan, una fascia di confine tra Libano, Giordania e Siria, ai margini del mar di Galilea, contesa da ebrei e arabi in cui il vino si mischia troppo spesso al sangue in nome di pagane rivendicazioni in una terra religiosa per antonomasia. Nessuno può negare le antichissime radici vitivinicole del paese, risalenti a ben 5000 anni or sono, di cui si ha sanctus testimonium persino nella Torah in cui si narra di Noè che, dopo la salvezza dal diluvio universale, piantò vigneti e preparò del vino che bevve fino a ubriacarsi. D’altro canto i fidelis della gallica excellentia (quel riferimento di cui sopra) potrebbero eccepire la recente cultura vinicola, nella visione laica della faccenda, che dalla fine degli anni ’60 è fiorita in questo paese portandosi dietro una miriade di nuove cantine e sperimentazioni in ogni regione che innerva un senso di qualità in divenire, certamente già consolidato in Francia.
Così come potrebbero rivendicare non già la paternità del vitigno quanto la superiorità di quel complesso insieme di elementi, più naturali che umani, che distingue un buon vino da un vino buono. Fatto sta che questo è un vino buono. Prodotto dalla cantina Yarden (gruppo Golan Heights Winery) che possiamo considerare, con certezza, pioniera della immagine moderna dell’enologia israeliana, il Yarden Pinot Noir 2009 è espressione del fervente spirito che pervade l’industria enologica ebraica che risente delle influenze più del Nuovo che del Vecchio Mondo, proiettando l’immagine di un vino moderno e dinamico ma nello stesso tempo legato a doppio filo alle proprie tradizioni, non a caso tutti i vini dell’azienda sono prodotti secondo le rigide regole kosher.
Le uve di Pinot Noir sono coltivate ad un’altezza che non supera i 400 metri, su terreni ricchi di sedimenti vulcanici, di scheletro e ben drenati. Una vendemmia diseguale, ma nel complesso ritenuta soddisfacente, svela un vino dal colore rubino intenso, di grande brillantezza ed una trasparenza che ricorda lembi sovrapposti di vecchie sottane di lycra che accompagna l’occhio fin al bordo, in quella linea d’orizzonte in cui la sfumata tonalità mattone si annulla con la fredda trasparenza del vetro.