• Mer 07 Giu 2023

Quando in poltrona si pensa alle antiche tradizioni contadine

Per meglio comprendere quale sia l’essenza della Grappa, le sue origine, i suoi impieghi e le sue proprietà, occorre non tradire gli insegnamenti trasmessi da secoli dalle generazioni passate. Fino ai primi del ‘900 la distillazione artigianale della grappa era molto diffusa in Italia settentrionale poiché permetteva ai contadini di riscaldarsi e di combattere i rigori dell’inverno, mentre per i montanari rappresentava, di fatto, un “toccasana” irrinunciabile.

Per i contadini in particolare modo, il rito della distillazione aveva un sapore unico, perché si svolgeva in un clima caldo e particolarmente distensivo; grandi e piccoli si radunavano attorno ad un camino o in un angolo della stalla e aspettavano che le prima gocce della grappa uscissero dalla serpentina; trascorrevano il tempo raccontando gli avvenimenti del giorno, spaccati di vita vissuta, storie e filastrocche interrotte solo dal crepitio del fuoco. Immaginiamoci come avveniva questa distillazione in un misto di accorgimenti derivati dall’esperienza e dall’empirismo. Non si potevano avere i mezzi tecnici necessari e si rimediava con quello che si aveva a disposizione.

Molto importante era fare una “cotta” (distillazione preventiva con 50% di acqua e 50 % di aceto) per evitare che i residui di solfato di rame, presenti nella caldaia e nel serpentino, dovuti all’inattività dell’alambicco, potessero poi essere trasportati nel distillato dando un colore azzurro. Una volta pronti per distillare si procedeva al carico della caldaia, dopo di ché si accendeva il fuoco. Di solito dopo un’ora e mezza iniziavano a uscire dalla serpentina le prime gocce del distillato tanto atteso.

Si Passava poi a una regolazione del fuoco, iniziando a far defluire l’acqua dal refrigerante sopra il recipiente e ad aprire il rubinetto posto sul fondo del contenitore di raffreddamento, permettendo un riciclo di acqua fredda. I meno attrezzati (chi non possedeva un alcolometro) si regolavano nel taglio delle teste e delle code con continui assaggi. Chi invece lo possedeva, lo poneva sotto l’uscita del distillato in un recipiente, lo strumento galleggiando dava la gradazione ottenuta sino a quel momento.

Di solito arrivati a 50 gradi si separava il prodotto fino ad ora ottenuto ed era chiamata testa; infatti, in questa parte del distillato, dal sapore sgradevole, è contenuta la maggior parte dell’alcol metilico dannoso sia alla grappa, ma soprattutto alla salute dell’uomo. Dopo aver messo da parte le teste, si doveva ridurre la fiamma e tenerla costante. Il distillato ricominciava a salire di gradazione fino a 60 gradi; dopo un periodo di tempo in base alla quantità ed alla qualità delle vinacce che si distillavano, la gradazione ridiscendeva a 48/50 gradi; questa quantità di distillato era chiamato cuore ed era la parte migliore del processo di distillazione.

Proseguendo il distillato si riduceva ad una gradazione di 10/15 gradi e questa parte veniva chiamata coda. Anche se ricche di alcoli, le code bisognava accantonarle ed unirle alle teste per inserirle poi nella distillazione successiva. Si procedeva poi allo svuotamento della caldaia, togliendo accuratamente le vinacce esauste e si ripartiva con una successiva cotta. Un trucco usato un tempo, e forse anche oggi dai grappaioli clandestini per valutare la grappa, consisteva nel porre qualche goccia di distillato nel cavo delle mani e sfregandole energicamente, creando così calore che permetteva di controllare i difetti del distillato.

Un altro sistema consisteva nel mettere acqua bollentissima in una tazzina, svuotarla e versarvi la grappa, rotearla in modo che, grazie al calore del contenitore, si sprigionassero tutti i suoi aromi. Tuttavia, distillare la grappa a domicilio, era già allora illegale e alfine di poter commercializzare il prodotto si escogitavano i sotterfugi più strani.

Si versava la grappa in camere d’aria, che venivano attorcigliate attorno alla pancia delle donne permetteva per permettere loro di trasportarla indisturbate, poiché sembravano in stato interessante. La famosa grappa sarda “filuferru” da dove trae origine? Due sembrano i motivi di questo nome particolarissimo. Il primo dovuto al fatto che i contadini, per eludere i controlli della guardia di finanza, nascondevano i bottiglioni di grappa sottoterra, lasciando un filo di ferro che sporgeva dal terreno per poterla ritrovare. Il secondo motivo è, invece, riconducibile al gusto di quella grappa talmente alcolica, grezza e forte da sembrare di aver ingerito del filo di ferro, quando si beveva.

Un’usanza tipicamente contadina era quella di porre dei tralci, generalmente di legno di vite, sul fondo del recipiente di rame al fine di evitare che le bucce della vinaccia fermentata aderissero e bruciassero, trasmettendo il cattivo sapore alla grappa. Dopo aver messo le fascine, veniva il momento di aggiungere l’acqua ed eventuali avanzi di teste e code ed in seguito le vinacce. Quindi, si procedeva alla chiusura ermetica del coperchio, sigillato con un impasto di acqua e farina bianca per evitare fughe di vapori alcolici. In aiuto all’effetto guarnizione dato dall’impasto, erano impiegati anche dei morsetti.

Sul coperchio venivano posti dei teli di juta tenuti continuamente bagnati, al fine di ottenere il raffreddamento necessario a provocare la caduta delle particelle idroalcoliche più pesanti, facendo passare solo quelle più concentrate (deflemmazione). Dalla sommità del coperchio partiva un tubo di rame che terminava a serpentina in un recipiente colmo di acqua; questo procedimento garantiva la trasformazione mediante condensazione del vapore alcolico in distillato.

Dopo aver ultimato la fase preparatoria, si accendeva il fuoco sotto il recipiente. Quando, dopo un certo tempo, iniziava a fuoriuscire la grappa, l’abilità del contadino veniva messa alla prova nel riuscire a ridurre il calore e a mantenerlo costante; questo per evitare il rigoglìo delle vinacce, rovinando il lavoro di ore. Allo scopo , quindi , era molto più pratico l’utilizzo dei bruciatori a gas che negli anni venire più recenti permise ai distillatori clandestini una quasi perfetta regolazione della fiamma e del calore.

Va detto comunque che la prima parte di grappa raccolta nel recipiente posto alla fine della serpentina, in quanto sgradevole e tossica, veniva messa da parte; era la parte successiva, denominata cuore, a costituire la parte migliore, in quanto anche la parte finale, denominata coda, risultante torbida e dai profumi sgradevoli, veniva mischiata alle “teste” e riutilizzata nelle cotte successive. Complessivamente questo lavoro di distillazione aveva una durata operativa tra le tre e quattro ore.

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