La vite: compagna di viaggio dell’umanità
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Augusto Gentilli
- Ven 16 Dic 2022
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La storia della domesticazione della vite selvatica e dell’utilizzo dei suoi frutti è da sempre indissolubilmente intrecciata a quella della civiltà
Introduzione
Poche specie coltivate hanno influenzato quanto la vite (Vitis vinifera) la storia e lo sviluppo della civiltà. Il grano, il mais e il riso hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel percorso di crescita e diffusione di Homo sapiens sapiens ma la loro funzione si è limitata – si fa per dire – a rappresentare una fondamentale fonte di cibo permettendo così l’impressionante crescita demografica e la conseguente diffusione della nostra specie. La vite, a differenza di questi cereali, ha però influenzato – grazie alla capacità dei suoi frutti di fornire una bevanda fermentata, alcolica e inebriante – anche la cultura, la socialità e gli aspetti spirituali della nostra storia. I grappoli e il vino rappresentano, infatti, uno snodo centrale di numerosissime culture e religioni quali – a puro titolo di esempio – i riti dionisiaci e il Cristianesimo. Tale importanza è testimoniata anche dalla loro capillare presenza, fin dall’antichità, nelle principali espressioni culturali e artistiche quali i miti, la pittura, la scultura e la musica. Il vino, insomma, rappresenta la spiritualità così come il piacere, l’ospitalità, la condivisione, la ricchezza, l’oblio: in poche parole, insomma, il vino racchiude in sé l’Uomo nella sua completezza da sempre diviso tra vizi e virtù.

La vite: tra boschi e coltivazione
Vitis vinifera è una specie delle Vitacee, famiglia di piante legnose quasi sempre a portamento lianoso ampiamente diffusa in Europa, Asia e America. La specie è presente allo stato selvatico con la sottospecie V. vinifera sylvestris nei boschi caducifogli dell’Europa meridionale fino alla Turchia, al Caucaso e all’Hindu Kush, una catena montuosa che si estende per circa 1000km dall’Afghanistan centro-occidentale, fino alla Provincia della frontiera del nord-ovest e alle aree tribali del Pakistan, propaggine occidentale delle catene del Pamir, del Karakorum, dell’Himalaya; le popolazioni presenti nei boschi ripariali del Reno e del Danubio sono di dubbia origine in quanto rappresentano il limite settentrionale di diffusione della specie e sono probabilmente da ritenersi derivate dall’inselvatichimento di viti introdotte nel corso della dominazione romana di tali aree.
Questa sottospecie è caratterizzata dall’essere dioica, ovvero dalla presenza di fiori maschili e femminili su individui diversi. La sottospecie domesticata (V. v. vinifera), al contrario, ha quasi sempre fiori ermafroditi – ovvero con organi maschili e femminili nello stesso fiore – che ne facilitano grandemente la coltivazione; è da ricordare, però, che anche in questa sottospecie esistono varietà dioiche quali, ad esempio, picolit e lambrusco di Sorbara. Le testimonianze fossili del sito di Sèzannes, a circa 100km a oriente di Parigi, indicano che le origini del genere Vitis vanno fatte risalire all’inizio del Era terziaria (Cenozoico) circa 55 milioni di anni fa. Attualmente, l’individuo vivente più antico conosciuto è la vite Versoaln in Alto Adige – a Prissiano, frazione di Tesimo – lungo un pendio porfirico presso il ponte di pietra di Castel del Gatto (Schloss Katzenzungen) a circa 600 metri di altitudine. Tale individuo ha, attualmente, una chioma estesa per circa 350m² e produce tutt’oggi dai tre ai sette quintali di uva ogni anno. Ricerche svolte presso l’Università di Gottinga attribuiscono a questa vite un’età di circa 350 anni coerentemente con le fonti storiche che la citano già nel 1660. Versoaln dovrebbe, pertanto, essere la vite attualmente vivente più vecchia e con la chioma più estesa del mondo; un’altra vite con datazione simile si trova presso Maribor, in Slovenia, ed è nota con il nome Stara Trta, ovvero “vecchia vite”.

La domesticazione della vite: un viaggio di migliaia di anni al nostro fianco
Le origini
Le prove archeologiche suggeriscono che l‘addomesticamento della vite abbia avuto luogo, in senso generale, nel Caucaso meridionale tra il Caspio e il Mar Nero, nella porzione occidentale della Mezzaluna Fertile e in Siria da dove raggiunse la Valle del Giordano e l’Egitto. Recenti analisi genetiche, volte a indagare i rapporti tra le forme selvatiche e quelle coltivate, sono coerenti con i dati archeologici nel porre l’origine geografica della domesticazione della vite nel Vicino Oriente. Dal punto di vista temporale, l’inizio della domesticazione delle forme selvatiche si colloca nel tardo Neolitico quando le innovazioni in campo agricolo – ad esempio l’aratro – permisero la creazione di insediamenti più grandi e stabili che resero possibile, tra le altre cose, anche la coltivazione di specie pluriennali. Un ruolo difficile da quantificare è stato, inoltre, molto probabilmente svolto anche dalle piccole e medie discariche – teoria dei dump heap – che, caratterizzandosi per ricchezza di sostanza organica, umidità e prossimità con detti insediamenti, ben si prestavano alla germinazione dei vinaccioli dovuti sia agli scarti dell’alimentazione umana sia agli escrementi della fauna. La spinta alla coltivazione, o alla facilitazione dello sviluppo di individui selvatici detti domesticoidi, è stata ragionevolmente legata all’utilizzo diretto delle bacche come alimento nonché del loro succo fermentato sia come alimento sia in virtù delle sue doti inebrianti. Inoltre, un altro fattore che ha contribuito alla sua domesticazione è legato alla grande capacità di questa specie di moltiplicarsi per via vegetativa – oltre che da seme – dando origine facilmente a molti individui del tutto identici alla pianta genitrice. L’inizio della coltivazione si concentrò in modo particolare su quegli individui aventi frutti particolarmente grossi e zuccherini e, di conseguenza, furono favoriti inizialmente gli individui femminili – dato che quelli maschili, ovviamente, non fornivano frutti – e, in seguito, iniziò la selezione di quelli appartenenti alla minoranza ermafrodita.

Questa selezione si protrasse per alcune migliaia di anni. Il suo inizio può essere collocato nel Vicino Oriente e datato nel tardo Mesolitico, ovvero nel XII – VI millennio a.C.. Localmente tale inizio può essere anticipato e datato al tardo neolitico (5.400 – 5.000 a.C.) come testimoniato dal ritrovamento di una piccola giara con depositi di tartrato di calcio al confine tra Iran e Turchia. È interessare segnalare anche la presenza di tracce di resina vegetale ottenuta dall’albero di trementina persiana (Pistacia atlantica) per ritardare l’acidificazione del vino in essa contenuto. Altre tracce di protoviticoltura – sostanzialmente la facilitazione dello sviluppo di viti selvatiche – provengono dal nord-est dell’Anatolia (8.500 a.C.) a riprova del ruolo fondamentale di quest’area come epicentro dalla nascita della viticoltura. In realtà, tracce più antiche provengono dall’Argolide (Grecia) dove già da 11.000 anni or sono è provata la raccolta di grappoli d’uva. I primi vinaccioli ascrivibili con ragionevole certezza alle forme domestiche – ma ancora frammisti a vinaccioli di vite selvatica – sono noti per la Macedonia e devono essere fatti risalire al medio e tardo neolitico, ovvero tra la fine del V millennio e l’inizio del III avanti Cristo.

I centri di domesticazione e la diffusione della vite domestica
L’Asia Minore e il Caucaso, che da quanto sopra scritto risultano essere la culla della domesticazione della vite, hanno svolto – in realtà – un’altra funzione di cruciale importanza nel corso di tale processo, ovvero hanno contribuito alla caratterizzazione del germoplasma viticolo globale in quanto le viti di tale area, con un elevato grado di domesticazione, hanno rapidamente prevalso nel processo di diffusione rispetto a linee genetiche di altri territori. Un aspetto ancora non del tutto chiarito riguarda l’importanza del ruolo svolto da singole aree all’interno di tale macrozona. Alcuni ricercatori propendono per la nascita delle prime varietà coltivate nella Siria settentrionale e in alcune aree circostanti dell’Anatolia centro-meridionale mentre altri scienziati – in particolare collegati con la scuola russa – propendono per l’area caucasica e transcaucasica – in modo particolare georgiana – e collocano l’origine della viticoltura “moderna” in un periodo di tempo compreso fra l’8.000 e il 6.000 a.C.
In effetti, le analisi biomolecolari mostrano che il germoplasma georgiano della vite ha mantenuto un carattere fortemente identitario, nonostante il recente ingresso nel Paese di varietà internazionali; inoltre, è da evidenziare che la viticoltura locale mantiene ancora diffusamente le tecniche di allevamento tradizionale della vite. I risultati delle analisi genetiche hanno individuato alleli e loci assai diffusi nel germoplasma georgiano che risultano, al contrario, assenti in altri paesi, evidenziando quindi l’unicità e l’originalità della viticoltura georgiana. Da ultimo, ma non certo per importanza, è necessario sottolineare che le viti selvatiche ancora presenti negli ambienti naturali georgiani presentano distanze genetiche più piccole con le cultivar locali rispetto a quelle ottenute indagando numerose varietà dell’Europa occidentale.

Ciò che, infine, emerge da più dettagliate e recenti recenti – a prescindere dai meccanismi sottesi a tale processo che travalicano gli scopi di queste righe – è che la domesticazione della vite deve essere avvenuta in diversi momenti e in diversi territori e l’orientamento dominante è oggi quello di riconoscere sei differenti centri di domesticazione di tale specie. In tal senso è opportuno ricordare l’importanza, come un prerequisito fondamentale per la nascita della viticoltura, della presenza di insediamenti stabili con elevata densità demografica e, possibilmente, una collocazione lungo importanti percorsi commerciali. Un territorio che sembra soddisfare queste necessità, oltre che alcune necessarie condizioni paleobotaniche, è rappresentato dall’area compresa tra Siria, Anatolia e il nord-ovest della Mesopotamia. Tale area può, di conseguenza, essere considerata – in una sorta di struttura bicefala unitamente alla zona transcaucasica (Georgia) – come il centro primario di domesticazione di Vitis vinifera sylvestris. La viticoltura di questo centro primario ha fortemente influenzato anche la nascente viticoltura greca nel corso dell’Età del Bronzo facendo di quelle terre il centro secondario della domesticazione della vite. Un processo analogo, nel corso dell’Età del Ferro, fece della Sicilia e dei territori etruschi dell’Italia centrale il centro terziario di tale domesticazione. Seguendo analoghi percorsi grazie all’azione delle colonizzazioni punica, greca e romana, la Penisola Iberica sud-orientale divenne un centro quaternario della domesticazione. Un centro quinquenario nacque, in seguito, nell’Italia padano-veneta, nella Francia meridionale e nella Spagna nord-orientale grazie all’impulso fornito dai colonizzato focei, etruschi e romani. In tempi più recenti, per impulso della colonizzazione romana, si generò infine un sesto centro di domesticazione in ambito renano.

Conclusioni

Molto è stato chiarito in questi ultimi decenni sulla storia dell’inizio della domesticazione e della diffusione della vite ma molto resta, in realtà, ancora da chiarire. Ciò che è certo è che la storia dell’uomo, del suo passaggio dallo stato di cacciatore raccoglitore a quello di agricoltore e allevatore, la sua indiscutibile tendenza alla socialità e alla conurbazione, il suo bisogno di spiritualità e condivisione sono alla base del grande successo di questa coltivazione e dell’enorme sviluppo delle tecniche di vinificazione al fine di sfruttare al meglio le caratteristiche delle differenti varietà originatesi nel corso dei secoli grazie alla selezione umana. Il vino è stato ed è, insomma, una grande espressione dell’Umanità e, come tale, richiede rispetto e consapevolezza esattamente come ogni altra alta espressione dell’ingegno e della cultura dell’Uomo.