• Mar 05 Dic 2023

Il vino del sabato: L’altro Montefalco: Arnaldo Caprai e il Montefalco Rosso

Borghi medioevali, olivi e viti: questo paesaggio, che caratterizza buona porta parte della porzione collinare di Umbria e Toscana, trova una delle sue massime espressioni proprio nell’area di Montefalco, dove storia, arte e agricoltura sono così strettamente interconnesse da risultare – perdonatemi l’ossimoro – le tre facce della stessa medaglia. È emblematico, in tal senso, il fatto che il Sagrantino, vitigno simbolo di questa terra, abbia visto la propria storia scorrere nei vigneti all’interno delle mura di Montefalco.

Queste righe già mostrano, però, il contrasto tra realtà attuale e storia, tra comune sentire e tradizioni: il binomio Montefalco e Sagrantino – che è ormai così consolidato da essersi radicato anche ben oltre la stretta cerchia degli enoappassionati – è, in realtà, relativamente giovane e frutto indiscusso della rinascita di questo grande vitigno.

Intendiamoci, non intendo certo dire che il Sagrantino non sia figlio di Montefalco: questo vitigno, dalle origini e dalle parentele tutt’ora sconosciute, è sicuramente legato a filo doppio con queste terre, dove è sempre stato considerato il vitigno principe, dal quale ottenere i vini più importanti da vinificare passiti e dolci e gustare nelle grandi occasioni.

Ciò che volevo sottolineare è che, se il Sagrantino rappresentava l’eccezione o – forse – l’eccezionale, era il Sangiovese a incarnare il quotidiano. In questo territorio, come testimoniato da numerosi documenti, il vino rosso era costituito in prevalenza di Sangiovese – la varietà più diffusa in Umbria – ed in misura minore da altre varietà a bacca rossa, tra le quali anche il Sagrantino, per rafforzarne la struttura e l’intensità di colore; la tradizione prevedeva, inoltre, l’utilizzo, anche per la produzione del vino rosso, di una percentuale di uva a bacca bianca, quali Trebbiano e Trebbiano Spoletino, per incrementare la spalla acida del vino; è interessante notare che, pur con uve differenti, questo uvaggio è del tutto analogo a quello fissato per il Chianti, intorno al 1840, dal Barone Bettino Ricasoli.

Ancora oggi, quindi, il disciplinare di produzione del Montefalco Rosso prevede l’utilizzo di uve Sangiovese (dal 60 al 70% ), Sagrantino (dal 10 al 15%), eventualmente integrati da altri vitigni a bacca rossa (fino ad un massimo del 30%) purché idonei alla coltivazione nella Regione Umbria. Ecco apparire quindi chiaramente come il Montefalco Rosso non rappresenti la Denominazione di ricaduta del Sagrantino Docg, bensì un vino con una sua storia e un profilo gustolfattivo del tutto proprio e caratteristico.

L’Azienda Arnaldo Caprai

In un articolo dedicato al Grecante di Arnaldo Caprai apparso recentemente su World Wine Passion, ho già ampiamente scritto di questa azienda che tanto ha dato all’economia del proprio territorio e all’Italia enoica. Rimando, pertanto, i lettori a tale articolo per approfondire gli aspetti inerenti la storia e la filosofia produttiva di questa importante cantina.

Montefalco Rosso Doc 2010 – Azienda Arnaldo Caprai.

In questa bottiglia si incontrano felicemente tradizione e innovamento, territorio e globalizzazione. Questo Montefalco Rosso Doc – ottenuto da uve Sangiovese (70%), Sagrantino (15%) e Merlot (15%) – rappresenta una magnifica sintesi fra uve differenti, ciascuna in grado di fornire un apporto fondamentale al prodotto finito: ecco quindi la finezza del Sangiovese, con le sue note floreali di violetta, affiancarsi alla struttura e alla potenza del Sagrantino per essere, infine, entrambi avvolte dalla rotondità vellutata del Merlot.

Il vino, dal bel color rubino luminoso, colpisce immediatamente per la grande finezza e complessità olfattiva. Il naso apre con note di amarene sotto spirito, immediatamente seguite e integrate da profumi di violetta fresca e fragolina di bosco; dopo pochi istanti, ecco aggiungersi le spezie dolci, quali chiodi di garofano e noce moscata.

La pazienza del degustatore è poi ulteriormente premiata quando il bouquet si arricchisce di eleganti sentori di grafite, incenso e cuoio oltre che delle note tostate della polvere di caffè. In bocca coniuga con piena soddisfazione intensità ed eleganza; i tannini, pur se ancora nel pieno dell’esuberanza della gioventù, mostrano grande finezza e tessitura elegante e polverosa, che li rendono fin d’ora gradevoli e avvolgenti. L’acidità e l’alcol sono perfettamente integrati nella struttura del vino contribuendo a garantirgli una beva di grande piacevolezza; la lunga persistenza e la finezza del retrogusto portano rimpiangere la fine della bottiglia.

Read Previous

La miseria delle nostre montagne, correva l’anno 1950

Read Next

Con le radici nella storia: l’Ovada Docg