Finalmente un lavoro, per…Bacco
Eccoci alla seconda intervista di questa rubrica “Finalmente un lavoro, per…Bacco” con il racconto dell’esperienza formativa e lavorativa di un giovane enologo pavese Matteo Berté, classe 1985, attivo nell’Azienda di famiglia, le “Cantine Francesco Montagna” nate a Broni dal 1895 e di proprietà della famiglia Berté Cordini dal 1974.
Ciao Matteo, ci racconti il percorso di vita e di studi che ti ha portato all’enologia e all’Azienda di famiglia?
Beh diciamo che il fatto di essere cresciuto fra le vigne ha avuto un peso importante nelle decisioni riguardanti la mia formazione. Ho iniziato ad approcciarmi alla viticoltura e l’enologia durante le scuole superiori all’Istituto tecnico agrario Carlo Gallini di Voghera. Successivamente mi sono iscritto all’Università Cattolica di Piacenza dove ho conseguito la laurea breve in viticoltura ed enologia. Durante questo percorso ho avuto la fortuna di fare esperienze in Italia (Toscana) ed all’estero, più precisamente in Spagna ed in Cile, le quali sono state importantissime anzi direi che hanno segnato in modo particolarmente positivo la mia vita. Conseguita la laurea, avendo tanta voglia di imparare e scoprire, sono volato negli States, e più precisamente in California nella Russian River, dove ho lavorato per 5 mesi durante la vendemmia 2008. Una volta tornato e non soddisfatto del mio livello di preparazione mi sono iscritto alla laurea specialistica in scienze viticole ed enologiche dell’università di Torino. Dopo il primo anno in Italia, mi sono trasferito in Francia, inizialmente a Montpellier e successivamente a Bordeaux: ciò mi ha permesso di ottenere il double degree, quindi oltre al diploma di laurea italiano ho conseguito anche il master “Vigne et Vin” dell’ENITA de Montpellier. Inutile dire quanto sia stata bella e importante per me l’esperienza francese.
Tu, data la lunga tradizione enologica famigliare, sei partito sicuramente con un quid in più: ritieni che sia comunque un buon cammino di studi e di vita per un giovane che voglia affacciarsi ex novo all’enologia?
Penso che più che avere un background familiare sia importante la curiosità, la volontà e la voglia di imparare che ognuno ha dentro di sé: certo se uno possiede entrambi è sicuramente un poco più avvantaggiato. Ho avuto dei compagni di corso che non avevano nessuna tradizione enologica alle spalle e adesso lavorano in cantine importanti in giro per il mondo.
Esistono, a tuo parere, aspetti dell’enologia che offrano maggiori possibilità lavorative e che, pertanto, siano attualmente da preferire?
Ormai un enologo moderno deve avere conoscenze a 360° e quindi all’interno del mondo del vino ci sono diversi aspetti interessanti dal punto di vista lavorativo; l’aspetto più interessante è che l’enologo è una figura professionale abbastanza ricercata a livello mondiale e offre la possibilità di fare esperienze in diverse parti del globo.
La figura dell’enologo negli ultimi anni ha spaccato il mondo dei produttori e, più ancora, quello dei consumatori “evoluti” tra chi la considera una presenza troppo invasiva nei confronti delle caratteristiche finali del vino e chi, al contrario, pensa che sia l’unica strada per produrre un vino di successo. Quale la tua posizione a riguardo?
Penso che la soluzione stia nel mezzo, un buon enologo deve cercare di ottenere il massimo dalla materia che ha tra le mani. Molte volte meno si tocca un vino in cantina, migliori risultati si ottengono. Certo è vero che, in passato, alcuni enologi consulenti di rilievo tendevano a fare vini abbastanza standardizzati a livello organolettico, marcando molto con il loro stile il risultato finale. Io penso che un bravo enologo è colui che riesce ad esprimere il territorio da cui provengono le uve; ciò significa che bisogna avere una preparazione tecnica ed esperienza che permettano di arrivare al risultato finale voluto; perciò se bisogna intervenire, bisogna sapere esattamente cosa si sta facendo in modo da non compromettere il prodotto. La mia filosofia è quella del “minimal winemaking” (se possibile e l’annata lo permette): ovviamente la qualità delle uve è fondamentale e perciò preferisco lavorare molto in vigneto per avere uve di altissima qualità in modo da intervenire il meno possibile in cantina.
Si dice che che quando l’annata è buona il risultato finale sia dipeso dal 80% dalla qualità uva e un 20% dal winemaker, mentre nelle cattive annate il risultato finale dipende da un 80% dalla capacità del winemaker e un 20% dall’uva.
Quanto ritieni necessaria un’esperienza formativa all’estero?
Fondamentale! Le esperienze all’estero ti marcano e forgiano sia a livello lavorativo-formativo sia come persona. Secondo me ogni qualvolta si va all’estero a fare esperienze, quando si torna si ha acquisito un qualcosa in più, si cresce come persona, si conoscono nuove culture, si imparano nuove lingue e si fanno amicizie.
Oggigiorno le aziende guardano molto a questo aspetto e qualsiasi persona che abbia fatto esperienze in giro per il mondo gode di una maggiore considerazione.
Enologia del Vecchio mondo vs enologia del Nuovo mondo: dove consiglieresti di effettuare un eventuale stage e perché?
Penso che chiunque si affacci al mondo del vino e voglia imparare a produrlo debba sicuramente fare diverse esperienze in modo da avere un bagaglio di conoscenze maggiore.
Io consiglio di effettuare almeno uno stage in entrambi i “Mondi enologici”.
Il Vecchio Mondo sicuramente per il motivo che è legato alla tradizione e ha centinaia di anni di esperienza alle spalle; il Nuovo Mondo è altrettanto interessante perché hanno un approccio più aperto e moderno ed il fatto di non essere troppo legati alla tradizione gli permette di essere più liberi da alcuni vincoli e sperimentare cose differenti.
Che futuro prevedi per la tua professione sia in generale sia per quanto riguarda direttamente la tua vita?
Sinceramente non riesco a prevedere il futuro; quello che mi auguro professionalmente è vedere un giorno l’Oltrepò essere riconosciuto veramente per il valore del suo terroir a livello italiano ed internazionale; la speranza è che le nuove generazioni riescano finalmente a “fare territorio” e a valorizzare i nostri vini e le nostre produzioni. Mi piacerebbe essere parte di questo cambiamento.
Per quanto riguarda l’aspetto personale, spero soltanto di stare bene e vivere una vita tranquilla insieme alla mia famiglia ed ai miei amici.
Prova a immaginarti fra un po’ di anni: quali consigli daresti a un giovane nuovo “Matteo” per sfruttare ciò che di buono hai imparato ed evitare eventuali errori da te commessi in passato?
Come consiglio generale gli consiglierei di saper sempre ascoltare chiunque, perché c’è sempre qualcosa da imparare da qualsiasi persona.
In ambito lavorativo consiglio sempre di essere curiosi e domandarsi sempre il perché di quello che si sta facendo e se ci sono soluzioni migliori, chiedendo a chi ha più esperienza, provando, sperimentando e di non pensare mai di aver finito di apprendere.
Comunque secondo me l’aspetto più importante è avere un obiettivo e cercare di conseguirlo con la dedizione ed il lavoro, essere ambiziosi e non pensare che i propri sogni, anche se un po’ folli, siano irrealizzabili.