Bianco, rosso e …arancione: il Giallo di Costa di Daniele Ricci
Che differenze ci sono fra un vino bianco e un vino rosso? Il colore…è ovvio! E poi? E poi i vini bianchi sono privi di tannini! Ecco una delle prime certezze che tutti noi sinceri enoappassionati abbiamo acquisito all’inizio del nostro percorso di formazione. Credo, però, che, nel corso dei tanti assaggi compiuti per la gioia del palato e della mente, ogni onesto degustatore si sia reso conto che una nostra qualità imprescindibile – oltre ad un’insaziabile curiosità e ad una sete spesso altrettanto insaziabile…ma quello è un altro discorso… – debba essere il non vivere di certezze ma, anzi, il porci dubbi e domande che ci permettano di approfondire la nostra passione. Ecco, quindi, alcuni interrogativi che sarebbe opportuno rivolgere a noi stessi quando assaggiamo un vino ottenuto da un’uva a bacca bianca: perché non ha – o non dovrebbe – avere tannini? È una caratteristica intrinseca delle uve a bacca bianca? È sempre stato così?
Le risposte a queste, per quanto semplici, domande sono tutt’altro che scontate: le uve a bacca bianca hanno in effetti – nelle bucce e nei vinaccioli – una componente tannica che, normalmente, non viene trasferita al vino in quanto queste uve sono generalmente soggette ad una vinificazione “in bianco”, cioè alla separazione immediata del mosto, ottenuto da una spremitura piuttosto soffice, dalla parte solida, costituita da bucce, vinaccioli e, molto più raramente, raspi.
Al contrario, nella vinificazione “in rosso” di uve nere – quella cioè utilizzata per ottenere vini rossi – la parte solida viene lasciata a contatto col mosto per molti giorni, permettendole così di cedere il colore – cioè gli antociani – e i tannini al mosto stesso e quindi, a vinificazione conclusa, al vino; inoltre, la macerazione aumenta la cessione delle molecole aromatiche – o dei loro precursori – al mosto, in modo tale che queste ultime, generalmente a seguito dell’azione fermentativa dei lieviti, possano arricchire il vino finito di quei profumi che tanto ci affascinano.
Ecco, allora, il nocciolo delle questione: come sarebbero dei vini da uve a bacca bianca ottenuti mediante una vinificazione in rosso? Credo che la risposta sia evidente a tutti: sarebbero dei vini “bianchi” caratterizzati da una maggior carica colorante, da profumi intensi, anche se differenti, da quelli a cui siamo abituati ma, soprattutto, dalla presenza di tannini. È, peraltro, interessante ricordare che la vinificazione in bianco è una tecnica relativamente moderna – per lo meno se intesa come regola quasi obbligatoria per la produzione di vini bianchi – e che la tradizione ha sempre previsto macerazioni, più o meno lunghe, anche per le uve a bacca bianca.
Ecco quindi che un manipolo di eroici sognatori ha iniziato a riproporre la vinificazione in rosso delle uve bianche nella speranza – certo non andata delusa – di poter riscoprire profumi e sensazioni ormai quasi dimenticati.
Ora questi vini – pur restando sicuramente ancora limitati ad una nicchia di appassionati – sono divenuti una realtà che tende a consolidarsi ogni anno di più, tanto da essersi guadagnati una tipologia tutta loro e poter così affiancare i ben più noti vini rossi, rosati e bianchi: sono i vini arancioni, gli orange wines per gli anglofoni e gli anglofili nostrani. Amati od odiati, osannati o denigrati, consumati per sincera passione o snobismo intellettuale, questi vini sono ormai parte integrante del patrimonio enologico italiano ed internazionale, tanto da essere stabilmente presenti anche nelle carte della ristorazione pluristellata.
Il Timorasso, i Colli Tortonesi e Daniele Ricci: tre storie, una sola rinascita
Il Timorasso è divenuto, nell’ultimo decennio, la bandiera dei Colli Tortonesi, una magnifica area collinare sospesa tra Pianura Padana ed Appennino, un lembo di Piemonte che ammicca sornione al confinante Oltrepò Pavese. Un’area di grandi potenzialità che condivide, purtroppo, col suo vicino lombardo un passato non sempre all’altezza e un’attenzione immeritatamente scarsa da parte dei media e dei consumatori.
Su queste pagine ho avuto più volte occasione – anche recentemente – di raccontare di questi Colli e di questo vitigno e, pertanto, a tali contributi rimando per evitare inutili – e noiose – ripetizioni (Az. Giacomo Boveri, Az. La Colombera, Az. Claudio Mariotto).
Vorrei solo aggiungere pochi numeri riguardanti il Timorasso a riprova della sua rinascita e del suo ruolo – non solo enologico ma anche commerciale e, di conseguenza, sociale – nel mantenere vivo un territorio senza portarlo a imboccare la strada senza ritorno della cancellazione della propria vocazione agricola. A partire dall’arrivo della fillossera, questo vitigno, come molte altre antiche varietà in tutta Italia, ha visto la propria diffusione ridursi progressivamente, fino a raggiungere superfici di coltivazioni realmente preoccupanti: nel 1990, e così pure nel 2000, ISTAT dichiarava in Italia solo 21ha di vigneti di Timorasso. In seguito, grazie agli sforzi iniziali di pochi illuminati produttori e via via di un numero sempre maggiore di viticoltori, tale superficie è fortemente aumentata e – sempre in base a dati ISTAT – risulta che nel 2010 avesse raggiunto i 129ha.
Un territorio è, per molti aspetti, assimilabile ad un organismo nel quale la buona salute degli organi più importanti porta ad uno sviluppo sano e florido dell’intero corpo. Ecco, quindi, che la ritrovata attenzione sia nei confronti del Timorasso sia, cosa ancora più importante, verso il suo territorio ha permesso a numerosi piccoli artigiani del vino di potere crescere lungo un percorso di qualità, sorretti anche dalla rinnovata consapevolezza dell’importanza dei propri prodotti e delle proprie terre.
Questo è, per molti aspetti, anche il percorso di Daniele Ricci e della sua Azienda vitivinicola. Fondata a Costa Vescovato a circa 280m di quota nel lontano 1929 da Carlo e Clementina, due contadini consapevoli della grande vocazione dei loro terreni composti principalmente da marne calcaree o calcarenitiche e favoriti da un clima idoneo alla coltivazione della vite, l’Azienda Agricola continuò il proprio lavoro nel corso di decenni di grandissima difficoltà e di profondi mutamenti sociali e culturali sotto la guida di Filippo e Marosa, i genitori di Daniele, l’attuale titolare.
Daniele ora è aiutato in questa gravosa attività dalla moglie Loredana che si occupa, inoltre, dell’agriturismo collegato all’attività agricola. Essendo prossimo al diploma in agraria, Mattia, il figlio di Daniele e Loredana, si prepara ora ad entrare ufficialmente nell’Azienda di famiglia apprestandosi, in tal modo, a rappresentare la quarta generazione alla guida di quest’attività che può contare, attualmente, su circa 8ha di superficie vitata.
Daniele solo da non molti anni può occuparsi a tempo pieno delle vigne e della cantina: grazie al rinnovato interesse verso i vini dei Colli Tortonesi, infatti, ha potuto abbandonare il lavoro part-time, al quale era costretto in precedenza, e spendere interamente le proprie capacità per far crescere la sua Azienda lungo un percorso di qualità e sperimentazione. Da sempre fortemente convinto dell’importanza dell’agricoltura biologica che pratica da oltre 20 anni, ha intrapreso il percorso ufficiale di conversione al biologico per poter meglio comunicare questo aspetto così importante del proprio lavoro.
Az. Agr. Ricci – Il Giallo di Costa – Vino bianco
Giallo di Costa, ovvero un vino “giallo” ottenuto interamente da uve Timorasso coltivate a Costa Vescovato, raccolte nel 2010 e vinificate in rosso senza alcun passaggio in legno. Come tutti i “vini arancioni”, il suo colore tende a ingannare, inducendo a servirlo a temperatura da vino bianco e impedendo, in tal modo, la piena espressione del suo panorama olfattivo nonché amplificandone le durezze, con una conseguente sensazione di scarso equilibrio. È un vino vinificato in rosso e come tale deve essere servito e degustato.
La lieve velatura di questo Giallo di Costa – che certo non rende meno intrigante il suo colore oro antico arricchito da lievi riflessi ambrati – testimonia la scelta di Daniele di non sottoporlo né a chiarifica né a filtrazione. Il naso è fine, complesso e capace di coniugare ampiezza e verticalità. I profumi di pesca gialla, albicocca, fiori di ginestra e nocciola tostata si arricchiscono col tempo – ricordiamoci che in fondo è “un vino rosso” – di note eteree e mentolate nonché di sentori di zafferano e arancia amara. È all’assaggio, però, che la sua struttura emerge pienamente: l’ottimo corpo, la lunga persistenza e la tannicità ancora nervosa raccontano meglio di mille parole la sua storia in cantina e le grandi qualità del Timorasso e del territorio che ha visto nascere queste uve oltre a rappresentare la tangibile realizzazione della passione di chi lo ha prodotto.
Az. Agr. Ricci – Il Giallo di Costa – Vino da tavola bianco
Era il 2007 quando le uve di Timorasso di una vecchia vigna impiantata nel 1954 vennero portate in cantina per dar vita – anche in questo caso dopo una vinificazione in rosso seguita, però, da un breve passaggio in legno grande – a questo Giallo di Costa.
Gli anni trascorsi si palesano già nelle note ambrate del suo colore ma è nel profilo olfattivo che il Timorasso rivela pienamente i benefici effetti del passare del tempo. La polvere da sparo e gli idrocarburi pervadono – come a riempirne gli spazi – l’insieme dei profumi che emergono dal bicchiere: frutta gialla matura, arancia amara candita e foglie di tè si alternano in un continuo susseguirsi di sensazioni. In bocca la nota glicerica, molto più evidente rispetto al precedente assaggio, è sostenuta, in un gioco di delicati equilibri, da tannini ancora decisamente giovanili e da una freschezza tagliente ma gradevole. Ne risulta un vino ampio, armonico e molto persistente capace di stupire, emozionare e, perché no, far discutere.
Degustazioni del 18 febbraio 2015
Azienda Agricola Ricci
Via Montale Celli 9
15050 Costa Vescovato (AL)
cascinasanleto@libero.it