• Mar 05 Dic 2023

Un altro Piemonte: intervista a Italo Danielli, Presidente del Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg

Ovada: “un comune di 11.965 abitanti della provincia di Alessandria situato nell’Alto Monferrato” ecco come Wikipedia inizia la descrizione riguardante questa località della provincia di Alessandria, nel sud del Piemonte. Certo è corretto, come altrettanto corrette sono le informazioni demografiche, climatiche o storiche riportate sulla stessa pagina. Ovada è, però, molto di più: è un ponte fra Piemonte e Liguria, dove cultura, cibi e vini delle due regioni si incontrano, si confrontano, si completano. Ovada è poi, almeno per chi come me ama sinceramente il vino, sinonimo di una delle massime espressioni di un grande vino che, grazie al lavoro paziente e appassionato lavoro di un gruppo di produttori riunitisi in Consorzio, sta riprendendosi il posto che, da sempre, ha meritatamente occupato fra i grandi rossi del Piemonte e d’Italia: l’Ovada Docg.

Vinificato in purezza, così come previsto dal disciplinare, il Dolcetto nell’ovadese offre alcune delle sue migliori espressioni, quali profumi più intensi, maggiore struttura e una più lunga possibilità di invecchiamento.

Ecco quindi nascere il desiderio di approfondire la conoscenza di questo vino e di questo territorio iniziando con l”intervistare Italo Danielli, Presidente del Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg.

Il Dolcetto è, tra Piemonte e Liguria, un vitigno ampiamente diffuso: può raccontarci quali sono le caratteristiche principali che caratterizzano l’Ovada Docg?

Le stesse che Mario Soldati, nel terzo dei suoi famosi viaggi del vino, elencava come le peculiarità distintive dei Dolcetti in Alto Monferrato Ovadese rispetto a quelli delle Langhe: “maggior profumo, maggiore gradazione, maggiore densità e una maggiore possibilità di invecchiamento”: caratteristiche tutte che trovano nell’Ovada Docg il loro coronamento massimo

L’area di produzione dell’Ovada Docg comprende più di 20 comuni dell’ovadese, in provincia di Alessandria: si tratta di una zona storicamente vocata alla viticoltura in genere e alla coltivazione del Dolcetto in particolare: quali sono le caratteriste dei suoli e del clima che maggiormente influenzano tale vocazione?

Beh, il clima è molto influenzato dalla vicinanza al mare e dai rilievi che dal mare ci separano; un giusto equilibrio tra esposizione al sole e piovosità, una marcata escursione termica tra giorno e notte, la presenza quasi costante del “marino”, la brezza pomeridiana che spira da sud; i terreni sono poi piuttosto variegati, alternandosi quelle che in loco sono comunemente chiamate “terre rosse”, a prevalenza limoso-argillosa, e le “terre bianche”, indicate a volte in modo erroneo come tufacee ma in realtà calcaree: non è infatti un caso se all’interno di una chiara identità comune il nostro Ovada sa assumere espressioni ben differenziate, a seconda delle sottozone di provenienza.

È un peccato che non si sia mai sviluppato un progetto di micro zonazione, perché darebbe senz’altro riscontri di grande interesse, com’è tipico delle aree di grande vocazione vinicola

L’Ovada Docg sembra soffrire di alcune difficoltà nel farsi apprezzare sui mercati: a cosa imputa tale problema e quali pensa debbano essere le strade da seguire per dare la giusta visibilità a questa Denominazione?

Dobbiamo anzitutto ricordare che l’Ovada, come denominazione di origine controllata e garantita, ha una storia ancora piuttosto breve, visto che il riconoscimento ufficiale data appena a fine 2008: da questo punto di vista ci confrontiamo ovviamente con una conoscenza ancora limitata sui mercati. A ciò vanno credo aggiunti due fattori più specifici, sui quali intendiamo lavorare molto e in una prospettiva nuova come Consorzio: una tradizionale scarsa propensione della zona, soprattutto a livello di istituzioni e di sistema territoriale complessivo, a comunicare un’identità ben definita oltre all’erronea associazione dell’Ovada Docg con certe immagini superficiali del Dolcetto, interpretato come vino di pronta beva o, addirittura, per clamorosa confusione linguistica, come un vino dolce (con il risvolto che chi cerca un vino dolce non lo può certo trovare in un’Ovada e che, a volte, chi non ama i vini dolci ritiene di dover passare ad altro).

L’Ovada è in verità altro rispetto ai dolcetti standard: come Consorzio lavoriamo perché sia semplicemente conosciuto come uno dei grandi rossi piemontesi idonei all’invecchiamento, prodotto certo con uve dolcetto. Non è un caso che chi lo assaggia senza pregiudizi rimanga sempre molto colpito.

Mercato nazionale vs mercato internazionale: in quale dei due avete finora ottenuto i risultati migliori e in quale riponete le maggiori speranze per il futuro?

I due mercati non sono ovviamente in alternativa. A noi preme anzitutto esaltare la “territorialità” dell’Ovada e ciò comporta costruire un miglior tessuto di conoscenza diffuso e un’identità di territorio chiaramente percepita. Sicuramente in questo senso ci stiamo muovendo per così dire in ragionata progressione, partendo dalle aree del Nord Italia: ma accanto alla prudenza non ci manca certo l’ambizione e certo vogliamo portare l’Ovada in modo più strutturato anche sui principali mercati esteri. Il prodotto lo merita: constatiamo nelle nostre iniziative interesse ed apprezzamento per la qualità dei nostri vini e questo ci dà grande, davvero grande, fiducia nel futuro.

Il Piemonte è, soprattutto, terra di grandi rossi: quanto pesa, a suo avviso, la vicinanza di Denominazioni storicamente blasonate sul presente e sul futuro dell’Ovada Docg?

Ho già ricordato che l’Ovada è una Docg giovane, certamente meno conosciuta di altri grandi rossi piemontesi. Ma torno a dire che l‘Ovada ha le potenzialità per recuperare terreno, perché lo spazio per prodotti importanti con spiccata tipicità è molto ampio, anche a fronte di una globalizzazione che porta con sé, pure nel vino, grande omologazione. Penso che il peso e la visibilità delle denominazioni blasonate siano uno stimolo positivo, che aiuta la nostra volontà di emergere in modo definitivo ed esser parte riconosciuta dei grandi vini piemontesi. Questo è un traguardo che arricchirà culturalmente tutto il nostro territorio.

La ristorazione piemontese è generalmente molto attenta nel proporre i vini del territorio: ritiene che tale attenzione sia riservata anche all’Ovada Docg oppure che gli operatori del settore potrebbero mostrare maggior attenzione al vostro vino?

Distinguerei a questo proposito tra la ristorazione dell’area ovadese e quella più generale piemontese. Riguardo alla prima, il forte, intrinseco legame dell’Ovada con il territorio ci spinge a stimolare sinergie crescenti, riscoprendo gli abbinamenti storici tra il vino e la cucina locale: questa è la strada che abbiamo intrapreso per far crescere l’attenzione sull’Ovada da parte della ristorazione e cioè offrire un territorio nel suo insieme, non semplicemente un vino. Quanto al resto del Piemonte, vale daccapo il discorso relativo alla giovane storia dell’Ovada: occorre impegnarsi anzitutto a far conoscere le peculiarità di questo vino, sottraendolo all’immediata e fuorviante riconduzione ai dolcetti standard.

La visibilità mediatica – in rete, in televisione e sulla carta stampata – svolge sempre più un ruolo di primo piano nel decretare il successo di un prodotto, di un personaggio o di un servizio: gli spazi finora riservati all’Ovada Docg sono stati, a suo avviso, proporzionali alle potenzialità di questo vino o ritiene che, dai media, vi siano stati concessi, generalmente, spazi troppo limitati?

Sin qui gli spazi sono stati senz’altro limitati, ma noi abbiamo una visione costruttiva e ottimistica di ciò che si può realizzare nel prossimo futuro da questo punto di vista. È d’altro canto vero che solo nell’ultimo periodo, con la nascita del Consorzio, noi produttori abbiamo iniziato a muoverci in tal senso, con molta determinazione: occorre certo recuperare un po’ di tempo perso nel passato, per la scarsa iniziativa delle istituzioni e anche, parlando francamente, di molti produttori locali.

In Italia si stanno sempre più affermando i vini biologici, biodinamici o, comunque, ottenuti da pratiche di vigna e di cantina più rispettose della tutela dell’ambiente e della salute dei consumatori: quale lo stato attuale di queste pratiche vitivinicole all’interno Consorzio di Tutela dell’Ovada Docg e quanto ritiene importante, anche economicamente, questa una tendenza per il suo territorio?

Vorrei rispondere dicendo che l’Ovada per noi non è semplicemente un vino, è tradizione, passione, cultura, etica, insomma in qualche modo “è” il nostro territorio. In questo senso, l’Ovada non potrebbe esistere, e non avrebbe certo futuro, senza un profondo, condiviso rispetto dell’ambiente. Naturalmente al nostro interno ci sono aziende che hanno scelto la strada della certificazione biologica (ben 7 su 19, al momento), ma tutti, indistintamente, abbiamo una grande attenzione verso pratiche di vigna e di cantina a basso impatto ambientale

Gli ultimi anni sono stati anche gli anni della rinascita degli antichi, e spesso dimenticati, vitigni tradizionali: posto che il Dolcetto non può certo essere annoverato, per fortuna, tra le varietà rare o quasi dimenticate, ritiene che questo rinnovato interesse per la tradizione possa essere di giovamento anche al futuro dell’Ovada Docg?

Assolutamente sì. Come ho più volte sottolineato, l’Ovada è l’espressione massima della tradizione vitivinicola dell’Ovadese, una delle zone più storicamente vocate alla viticoltura dell’intero Piemonte. Il suo grande potenziale si esprime compiutamente esaltando il meglio delle pratiche in vigneto tramandate negli anni e il legame indissolubile con il territorio e i micro terroir che questo territorio compongono.

A quasi sei anni dall’istituzione della Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Ovada” quali, secondo lei i principali risultati raggiunti e quali quelli ancora da raggiungere?

Anche se per una serie di motivi all’ottenimento della Docg ha inizialmente fatto seguito un periodo di scarsa attività da parte delle istituzioni e dei produttori locali, oggi possiamo dire che il risultato fondamentale è l’avvenuta acquisizione da parte di un primo gruppo di produttori della consapevolezza delle grandi potenzialità dell’Ovada e di un rinnovato orgoglio nell’esserne produttori: questo è senz’altro l’elemento nuovo e decisivo che ha prodotto la nascita del nostro Consorzio. Quanto al futuro, l’ho già sottolineato: vogliamo che l’Ovada sia riconosciuto diffusamente come uno dei grandi rossi piemontesi e in questo percorso ci piacerebbe poter coinvolgere tutte le aziende che ancora non sono con noi. Le potenzialità ci sono tutte. Assaggiatelo, l’Ovada, e vedrete che la penserete esattamente come noi.

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