Luigi Boni: un designer di-vino
“Vieni qua: c’è un bicchiere di vigna” canta Luciano Ligabue riferendosi ad uno dei simboli dell’Emilia enologica: il lambrusco, un vino indissolubilmente legato alle province di Modena e Reggio Emilia. La vigna è parte integrante del paesaggio agricolo emiliano di pianura e di collina. Lasciandosi alle spalle Maranello e il rosso delle Ferrari, si inizia a salire lungo le colline del Frignano dove il rosso è quello delle uve: Lambrusco, Malbo gentile (https://www.worldwinepassion.it/.. ../..malbo-gentile.htm), Uva tosca (https://www.worldwinepassion.it/vino/vitigni/92/uva-tosca.htm). Nomi spesso sconosciuti ai più, che affondano le radici (in tutti i sensi…) nella storia di queste terre, nelle loro tradizioni e che, ancora oggi, ci regalano vini cresciuti mano nella mano con la gastronomia modenese.
Le valli del Frignano
Situate nella porzione meridionale della provincia di Modena, le valli del Frignano, che devono il loro nome alla popolazione preromana dei Friniati (Friniantes), sono comprese tra la parte destra del fiume Secchia, inclusa la vallata del torrente Dragone, e tutto il bacino del fiume Panaro.
Le Valli, da un punto di vista climatico, ricadono nella regione climatica della Pianura Padana con estati calde ed umide e inverni con temperature frequentemente al di sotto dello zero. La geologia della zona è riconducibile all’ambito del versante emiliano sud-orientale dell’Appennino settentrionale contraddistinto da una spiccata complessità geologica, caratterizzata da estesi affioramenti di successioni a dominante argillosa costituenti l’originaria base stratigrafica dei flysch liguri cretacei ed olocenici (cioè sedimenti marini costituiti da alternanze cicliche di livelli di arenaria, di argilla o marna e/o di calcare pelagico).
La viticoltura nelle valli del Frignano

“Nelle montagne modenesi preparatasi il vino per il duca di Ferrara e per la Marchesa di Mantova“: queste sono le prime notizie riguardanti la vitivinicoltura in queste Valli come riportate, già nel 16° secolo, nella “Chronica de diverse degne di memoria” di Tomasino Lancillotto. Lo stesso autore, in un altro suo scritto di poco posteriore, scrive quanto segue: “della Tosca non ne ho intese pretio alcuno, ma deve valere fino a Lire 18 la castelada ma per ancora non è matura“, e più avanti, “la uva Tosca de monte s’é venduta sino a Lire 16 la castelada“. In realtà, già in documenti assai più antichi (1237) si fa riferimento al vino prodotto in questo territorio e usato per pagare le decime al Rettore della Chiesa di San Michele. In seguito, numerosissimi sono i riferimenti scritti alla bontà dei vini del modenese meridionale; tra questi ricordo quanto scritto dall’abate Antonio Stoppani che nella sua opera più nota – il Belpaese – riporta quanto segue: “bevemmo un vino così delizioso che avemmo volentieri chiamate quelle alture: Monti di nettare“.
I vitigni storicamente coltivati in queste colline sono Lambrusca, la Trebbiana, l’uva d’Oro, la Covra, la Barbera e l’uva Tosca, di gran lunga la più coltivata. Intorno al 1400, inoltre, Gigliola da Carrara introdusse, dal levante ligure, il Malbo gentile, dove era noto col nome di Amabile di Genova.
Boni Luigi Azienda Aceto – Vinicola
Il design di interni è stato, per anni, lo sfogo dell’indiscussa e indiscutibile creatività di Luigi Boni. Venne poi il momento della svolta, di una svolta tanto drastica quanto coraggiosa: lasciare un’attività che lo aveva portato ad una notorietà internazionale per seguire un sogno e un’intuizione: produrre vini di qualità tra le colline del Frignano, recuperando antiche tecniche produttive e antichi vitigni. Questa avventura, iniziata nel 1993 con un primo vigneto sperimentale della Regione Emilia Romagna, si è avvalsa anche dell’esperienza e delle capacità di due grandi personaggi, Giorgio Muzzarelli, sommelier e noto ristoratore della zona, e Beppe Bellei, esperto di spumanti metodo classico.
Attualmente l’Azienda, biologica a partire dalla vendemmia 2012, si sviluppa su una estensione di poco più di 4 ettari, tutti coltivati a vigneto e la produzione annua si aggira intorno alle 35.000 bottiglie. Le vigne, allevate a cordone speronato e guyot, sono costituite sia da vitigni internazionali (Pinot bianco, Chardonnay, Pinot nero, Merlot) sia da vitigni tradizionali (Barbera, Grasparossa, Malbo gentile, Uva Tosca)
Le bottiglie sono messe in vendita con due marchi differenti: Terre d’Este, per i vini fermi, e Bonluigi per quelli vivaci e spumanti.
Gli spumanti metodo classico
Due gli spumanti metodo classico prodotti col marchio Bonluigi. Il primo (Belmount Cuvée 2007 Pas Dosé, 11,5% vol. – Chardonnay 35%, Pinot bianco 15%, Pinot nero 50%, 36 mesi sui lieviti) si presenta paglierino brillante con perlage fine e persistente; ci regala un naso fine con profumi di fiori di tiglio e biancospino, erba fresca e piacevoli sentori di lievito. In bocca è molto intenso, fine, fresco, di buon corpo e persistenza; le sensazioni gusto – olfattive confermano le note floreali e di lievito.
Il secondo metodo classico è ottenuto da una base di uve Pinot nero in purezza vinificate in rosa (Esterosa brut, Cuvée 2006, 11,5% vol. 36 mesi sui lieviti). Il risultato è uno spumante dal bel color cipolla ramata chiara con bollicine fini e persistenti. Il naso, non particolarmente complesso, è però fine e assai piacevole con evidenti note varietali di fragola. In bocca è fine, armonico, fresco, decisamente elegante anche se non molto persistente.
I vini rossi vivaci – Bonluigi
Ho iniziato questo scritto con il lambrusco e con il lambrusco mi sembra giusto concludere. Vino sottovalutato, maltrattato, oserei dire violentato, il lambrusco, o per meglio dire i lambruschi, sono gli emblemi stessi dell’Emilia enoica, figli di una cucina ricca di salumi crudi e cotti, di carni succulente e paste ripiene ben condite. Luigi Boni, come alcuni altri produttori, ha recuperato, per la produzione di questo vino, il metodo della rifermentazione in bottiglia, altrimenti noto come metodo ancestrale. Il metodo prevede la rifermentazione spontanea del vino, imbottigliato prima del completamento della fermentazione e quindi senza l’aggiunta di zucchero e lieviti per il tiraggio, come fatto per gli spumanti metodo classico. Nulla di nuovo sotto il sole, certo: per secoli il lambrusco e gli altri vini frizzanti sono stati prodotti in questo modo, ma il suo recupero ha permesso di riscoprire antichi profumi e sapori altrimenti sconosciuti ai più. Questi vini possono essere acquistati sia dopo la sboccatura, sia “col fondo”, cioè con i lieviti rimasti nella bottiglia.
Ho avuto la fortuna di assaggiare sia lo Zemiano Ramo Nero (sboccato) Lambrusco dell’Emilia – Secco 2010 11,5% vol. ottenuto da uve Grasparossa (85%), Barbera (10%) e Malbo (5%) sia lo Sguramaiale (Lambrusco dell’Emilia – Secco col fondo, 2010, 11,5% vol.) ottenuto da uve Grasparossa (85%) e Uva tosca (15%).
Lo Zemiano Ramo Nero si presenta rubino vivo e intenso con schiuma non troppo persistente. Il naso, intenso, fine e abbastanza complesso, ci riporta a sentori di ciliegia matura, mora, lampone e rose fresche; in bocca è di buon corpo, poco tannico e di piacevole freschezza. Lo Sguramaiale nel bicchiere ci appare rubino vivo un po’ meno intenso del precedente. Il naso, fine e assai piacevole, è caratterizzato dai piccoli frutti (fragola e lampone) e da piacevoli lievi sentori minerali. In bocca è fresco, di buon corpo, armonico e beverino.
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