Uniti per la vite: la famiglia Longanesi e il vino Bursôn
L’aqua la fa mêl, e’ ven e’ fa cantê.
L’acqua fa male, il vino fa cantare.
Proverbio romagnolo
Acqua, terra – ma quella che sporca le mani e spezza la schiena – e volontà: tre parole e potrei considerare finita l’introduzione a queste mie righe, che vorrebbero, con non poca presunzione, raccontare non solo un vino – il Bursôn – e un’uva – l’Uva Longanesi – ma un intero territorio, con le sue tradizioni, i suoi paesaggi e le sue persone.
La Bassa romagnola è una terra creata dal Po, che in pochi millenni ha strappato all’Adriatico decine di chilometri, sostituendoli con un mosaico di paludi, canali e terre pingui e affascinanti.
Bagnacavallo è uno dei centri intorno ai quali si è raccolta una cultura dell’acqua e della terra che per secoli ha permesso – non senza travagli e grandi difficoltà – la vita in queste terre. Tutto era importante e tutto aveva un valore: ciò che per poteva sembrare inutile, se non dannoso, qui aveva un valore.
È il caso delle erbe palustri (cannucce, giunchi e carici), sulla cui lavorazione si resse per lunghissimi anni l’economia di Villanova di Bagnacavallo dove, intrecciando queste erbe, si produceva una moltitudine di oggetti che coinvolgevano sia la vita quotidiana sia, ad esempio, l’alta moda, che negli anni 50 del secolo scorso commercializzava le borse intrecciate dagli artigiani villanovesi. Oggi di questo antico mestiere sono rimaste solo memorie e testimonianze, splendidamente conservate e descritte presso l’Ecomuseo delle Erbe Palustri.
Un’uva e la famiglia Longanesi, detta Bursôn: due storie indissolubilmente unite
Una vite, una quercia, la passione per la caccia: nasce così, quasi per caso, la magnifica avventura di Antonio Longanesi – classe 1921 – e del Bursôn. Là, nel podere Boncellino – passato alla storia aver dato i natali al brigante Passatore e acquistato dal nonno nel lontano 1913 – Antonio, nominato Cavaliere della Repubblica nell’ottobre del 2013, nota una vite crescere spontanea su una quercia vicino al roccolo ove era solito cacciare.
Fu da quell’unica vite che, con l’aiuto del fratello Pietro capace di realizzare gli innesti su piede americano, che i due fratelli realizzarono, verso la metà degli anni ’50, il primo vigneto di quella che sarebbe poi stata denominata Uva Longanesi. Le prime vinificazioni in purezza furono sorprendenti: se ne otteneva un vino di ottima struttura, importante concentrazione polifenolica e grado alcolico di circa 14% vol.
Questo risultato era stato fino a quel momento impensabile in un territorio sito a pochi metri sul livello del mare, con una viticoltura tradizionalmente improntata ad altissime produzioni per ettaro e i cui vitigni tradizionali – Fortana, Canina, Trebbiano di Romagna – danno normalmente vini di beva piacevole ma di limitata struttura e grado alcolico assai contenuto.
Inizia così un lungo percorso, non certo privo di diffidenze e difficoltà, che porterà, il 6 dicembre 2000, a vedere l’Uva Longanesi registrata Registro Nazionale delle Varietà di Vite. Inizialmente ritenuto un biotipo di Negretto, questo vitigno è ora riconosciuto essere una varietà a sé stante, dato che le analisi del DNA, eseguite dall’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, hanno messo in evidenza che esso non può essere assimilato a nessuno dei genotipi presenti nel Data Base dell’Istituto; è ipotesi abbastanza accreditata che si possa trattare di una varietà coltivata fin dai primi anni dopo Cristo tra i fiumi Senio e Lamone, sopravvissuta attraverso i secoli per la sua rusticità e resistenza ai marciumi.
Dal punto di vista morfologico l’Uva Longanesi si presenta con foglie di dimensioni medie, pentagonali o pentalobate, con lembo contorto; il grappolo si presenta conico o cilindro – conico, allungato, con una singola ala, mediamente compatto o spargolo e di grandezza media, con peso compreso tra 200 e 250 g e oltre.
Questa varietà raggiunge importantissime concentrazioni polifenoliche che la collocano al secondo posto, dietro al solo Sagrantino. La varietà giunge a maturazione nel periodo compreso tra la fine di settembre e la prima decade di ottobre. Durante la maturazione, un singolo acino, posto in posizione centrale del grappolo, rimane verde fino alla maturazione dell’intero grappolo stesso e, solo a questo punto, completa la propria maturazione, indicando il momento corretto per la raccolta. Attualmente, i sistemi di allevamento più diffusi per questa varietà sono il cordone speronato e la casarsa. L’Uva Longanesi è oggi autorizzata per quattro Igp dell’Emilia Romagna: Emilia, Forlì, Ravenna e Rubicone.
Tra mare e colline: il territorio del Bursôn
Pur se l’Uva Longanesi è coltivabile in tutta la regione Emilia Romagna, la produzione del Bursôn è limitata alle porzioni di pianura di Bagnacavallo e dei comuni con esso direttamente confinanti. Tutta la zona poggia su antichi depositi marini totalmente sepolti dai sedimenti fluviali dei fiumi Po, Senio e Lamone. I suoli sono molto profondi, caratterizzati da tessitura limoso argillosa con presenza, localmente molto abbondante, di sabbia; lo scheletro è, ovviamente, assai scarso.
Il clima è di tipo temperato suboceanico, con estati calde e inverni rigidi. Le precipitazioni medie annue sono mediamente comprese tra i 650 e gli 800mm; i mesi di maggio e ottobre sono i più piovosi mentre luglio e agosto sono da considerarsi quelli più siccitosi. In tutta l’area, dal tardo autunno e fino alla primavera inoltrata, è possibile la formazione e la persistenza di banchi di nebbia che elevano notevolmente il tasso di umidità dell’aria. La temperatura media annua dell’aria è compresa tra 12 e 13°C.
Tutta l’area è resa di ancora maggior interesse dalla presenza di numerosissime zone umide di grande valore naturalistico; il territorio è, infatti, in parte compreso nel Parco Regionale del Delta del Po. La visita alle aree di maggior importanza (a titolo di puro esempio ricordo le Valli di Argenta, la laguna di Comacchio, le pinete litoranee di Ravenna, la Valle delle Canne e l’Oasi WWF di Punta Alberete) permette, in relazione alle diverse stagioni, l’osservazione di numerosissime specie di uccelli (fenicotteri, spatole, aironi, anatidi, sterne e gabbiani rari) all’interno di ecosistemi assai complessi, veri scrigni di biodiversità.
Il Bursôn: il rosso cuore di Romagna
Di corpo, con tannini evidenti ma di ottima qualità e una freschezza facilmente percepibile che ne agevola la beva: in poche parole un vino importante, adatto a lunghi periodi di affinamento in bottiglia. In realtà, una descrizione così sintetica non renderebbe giustizia a un vino – anzi due – che rappresentano delle eccellenze enologiche non solo nel panorama regionale.
Fu proprio per valorizzare e diffondere la conoscenza di questi vini – nonché degli altri prodotti del territorio – che, nell’ormai lontano 1999, nacque il Consorzio Il Bagnacavallo con l’adesione di 15 produttori che già avevano iniziato la produzione di questo vino.
Come accennato in precedenza, il Bursôn è attualmente prodotto in due tipologie: Etichetta Blu ed Etichetta Nera, entrambe ottenute da Uva Longanesi vinificata in purezza
Bursôn Etichetta Blu
L’uso della macerazione carbonica: ecco il segreto che permette a questa tipologia di mantenere note fruttate di grande gioventù. Questa lavorazione non riguarda, però, l’intera massa; in questo modo il vino ottiene anche le caratteristiche di struttura e importanza che lo rendono adatto ad abbinarsi a secondi piatti di media grassezza e complessità. Alla vista appare di colore rosso rubino scuro, con una lancia violacea che ne tradisce il carattere giovanile. Il naso è accattivante con gradevoli note di frutti rossi e neri quali more, susine e mirtilli affiancate da ricordi floreali legati alle rose. In bocca è ampio, caldo e rotondo. La sua struttura è armonica e la sua evidente tannicità compensa, con l’aiuto di un’evidente freschezza, le morbidezza dovute all’alcol e all’abbondante presenza glicerica. L’uso del legno piccolo, assolutamente non invasivo, aiuta a arrotondare e amalgamare tra loro le diverse anime di questo vino.
Bursôn Etichetta Nera
Non mi piace pensare a questa seconda lettura del Bursôn come ad un fratello maggiore, bensì ritengo che si possa – e si debba – ritenerla un’altra interpretazione che, come tale, avrà caratteristiche proprie e, di conseguenza, propri momenti per essere consumato.
L’appassimento di almeno la metà delle uve unitamente alla più lunga permanenza nei legni – non meno di 20 mesi – contribuiscono a dar vita ad un vino di grande stoffa, ideale per accompagnare secondi importanti di carni rosse quali brasati e salmì; non dimentichiamoci, inoltre, la grande possibilità che questo vino ci offre: un bicchiere meditando, possibilmente in buona compagnia!
Nel bicchiere colpisce per il color granato impenetrabile arricchito, nel contempo, da un’unghia di grande luce. Il naso è schietto, fine e complesso e si apre in frutti maturi o confetture di susine, more e mirtilli neri; è arricchito da piacevoli note di pepe nero, tabacco e vaniglia a ricordarci il garbato uso del legno. In bocca colpisce per la grande ampiezza e “masticabilità”; i tannini sono nervosi ma di bella tessitura e, con il fondamentale supporto della evidente spalla acida, sostengono le morbidezze e l’evidente nota di appassimento, conferendo al vino armonia e gradevolezza di beva.
I produttori del Consorzio stanno sperimentando, con risultati assai incoraggianti, altre espressioni di quest’uva; sono, pertanto, da provare gli spumanti metodo Martinotti e i passiti. Inoltre, molti di loro hanno iniziato a vinificare in purezza un antico autoctono a bacca bianca: il Famoso, localmente chiamato Rambëla, con risultati interessanti. Tali vini sono freschi, di ottima beva e caratterizzati da bouquet floreali arricchiti da note fruttate e di erbe officinali.
Consorzio Il Bagnacavallo
Via Ungaretti 1
Villanova di Bagnacavallo (RA)
consorzioilbagnacavallo@gmail.com
www.consorzioilbagnacavallo.it
Tel: 0545.61632