Sconosciuto che passi! tu non sai con che desiderio io ti guardo,
tu devi essere colui che io cercavo…
Tratto da: “A uno sconosciuto” di Walt Whitman
L’Italia vanta un patrimonio ampelografico unico al mondo e spesso quasi dimenticato. Ogni zona vitivinicola, per quanto piccola, nasconde antiche rarità spesso a torto dimenticate. Lungi da me la volontà di demonizzare i grandi vitigni internazionali che tante emozione ci hanno regalato e altrettante ci regaleranno in futuro ma credo che la capacità del produttori di valorizzare l’italica ricchezza di vitigni rappresenti una delle sfide per il nostro enoico futuro.
Il Piemonte, terra assurta agli onori delle cronache grazie ai suoi grandi vitigni rossi (Nebbiolo, Barbera, Ruchè, Dolcetto), ospita nella sua porzione meridionale – nelle province di Alessandria, Asti e Cuneo – un’area baciata dagli dei anche per le varietà a bacca bianca. Che dire dei grandi vini ottenuti da uve Cortese nel territorio del Gavi o dei magnifici Timorasso dei Colli Tortonesi? Molto è già stato doverosamente scritto su questi grandi bianchi anche da queste pagine (La Scolca – Gavi – La Colombera – Timorasso) ma è necessario ricordare che, solo 20 anni fa, il Timorasso non sarebbe certo stato oggetto di articoli e celebrazioni. Chi può dire, quindi, cosa potrà accadere ad altre varietà ora sconosciute se affidate alle mani valenti di vignaioli illuminati e sinceramente innamorati del loro lavoro e del loro territorio?
Nelle righe che seguiranno saranno raccontati quattro vitigni attualmente ancora presenti nel Piemonte meridionale (Nascetta, Favorita, Rossese bianco di Monforte d’Alba e Carica l’asino) cercando di evidenziarne, ove possibile, la storia e le caratteristiche principali nella speranza di stuzzicare così la curiosità che dovrebbe accompagnare ogni sincero appassionato di vino.
Nascetta
La Nascetta, localmente chiamata anche Anascetta o Nas-cëtta (curiosamente pronunciata staccando la “s” dalla “c” e con “e” semi-muta) è oggi presente in un areale alquanto ristretto, limitato praticamente al comune di Novello e aree limitrofe (CN) mentre un tempo era diffusa anche nell’Albese e segnalata fino a Mondovì. Questo vitigno, considerato qualitativamente interessante
già nella seconda metà del 1800, potrebbe essere considerato, in virtù del suo contenuto in terpeni (principalmente linaiolo), una varietà semi – aromatica. Il suo grappolo, a maturità, è di media grandezza, cilindrico con una o più raramente due ali, compatto e costituita da acini di media grandezza con buccia di medio spessore, mediamente pruinosa, di colore giallo o giallo dorato. Il vino ottenuta dalla sua vinificazione in purezza ha note aromatiche interessanti e complesse (che ricordano fiori di acacia, frutti tropicali, agrumi) mentre alcol, struttura e acidità lo rendono adatto anche all’impiego del legno per la fermentazione o l’affinamento. In passato è stata ipotizzata una sua sinonimia con il vitigno sardo Nasco, ipotesi che è stata, però, ormai accantonata.
Favorita
La Favorita è, attualmente, il vitigno più ampiamente coltivato fra quelli oggetto di queste righe essendo ancora coltivato nel Roero e in Valle Belbo e presente anche in alcune zone dell’Astigiano (soprattutto nel circondario di Canelli) e dell’Alessandrino; con altre denominazioni questo vitigno è distribuito anche in Liguria, Toscana, Corsica, Sardegna e nel Sud della Francia. Recenti analisi biomolecolari hanno, infatti, dimostrato la perfetta identità genetica tra Favorita, Vermentino e Pigato; questa varietà è nota anche con i nomi di Furmentin – in Valle Belbo – nonché di Vermentinu o Malvasia (in Corsica) e Verlantin, Rolle o Malvoisie in altre aree francesi. La Favorita è caratterizzata da grappoli di media grandezza, cilindrici o piramidali con una o due ali sviluppate costituita da acini medio-grandi o grandi, sferoidali con buccia mediamente pruinosa di colore giallo verdastro, che diviene giallo dorato o ambrato quando ben esposta al sole; se ne ottengono vini bianchi secchi, freschi ed armonici di buona personalità.
Rossese bianco di Monforte d’Alba
Il Rossese bianco Monforte d’Alba è citato come vitigno autoctono in antichi testi del 1600. Originario della Liguria Orientale e diffuso nell’Albese, scomparve da entrambe le regioni alla fine del 1800.
Il motivo di questo abbandono è imputabile a degenerazioni di tipo virale che lo resero poco produttivo ed economicamente poco redditizio. Il nome è di origine incerta, ma si presume sia dovuto all’area di massima espansione dell’epoca, ovvero Monterosso, località nelle Cinque Terre. Jancis Robinson, nella sua recente opera “Wine grapes”, identifica, per il comune di Roddino (CN), un altro vitigno noto come Rossese bianco di Roddino, da ritenersi varietà ben distinta.
Al contrario, in numerosi scritti la professoressa Anna Schneider tratta le due varietà come coincidenti. Le foglie di questo vitigno sono piccole, profondamente incise e tormentose sulla pagina inferiore; i grappoli sono grandi, compatti, con ali pronunciate e un acino sferoidale piccolissimo, con buccia dorata. Il vino di Rossese bianco si presenta di buona alcolicità e acidità sostenuta e caratterizzato da gusto pieno ed equilibrato con note di frutta esotica e agrumi.
Carica l’asino