Interi paesi abbandonati mancano di strade, di fognature, di acquedotto, di luce elettrica, di medico, di farmacia e di ufficio postale e telegrafico (si avete letto bene)
Ci sono, in provincia di Torino, comuni montani, al di sopra dei 600 metri nelle valli che si aprono a ventaglio dalla pianura, nei quali la scuola è a 6-7 chilometri di distanza, sistemata talvolta in una stalla e molti abitanti scendono a valle soltanto da morti, legati ad una scala. e più di cento mancano di una strada. Ecco perché nel corso dell’ultimo cinquantennio il 48% della popolazione della Val Soana ha abbandonato la montagna, così come in Val Chiusella e in Val Locana mentre il 45% nella valle della Stura di Demonte, il 35% nelle tre valli di Lanzo e il 24% in Val di Susa.
Ecco le cifre della miseria della nostra montagna, dove la terra avara respinge l’antico affaticarsi degli uomini che da secoli vi hanno impegnato il loro lavoro e le loro energie.
Il Mezzogiorno incomincia alle porte di Torino. Bambini sulla paglia della stalla, pavimenti di terra battuta, muri senza intonaco. Minestra di castagne, latte, un po’ di formaggio. Lo strame, il fieno e la stessa terra per gli scarsi campi portati a spalle nelle ceste.
Miseria, rachitismo, ignoranza. Ma nella provincia di Torino ci sono centinaia di Monteu e in ciascuna di queste piccole frazioni lentamente la vita si spegne. I montanari chiudono le case e scendono a valle per sempre.
Per loro, come per quelli che salgono dal Sud, la speranza è nella grande città. I paesi muoiono. Dinanzi alle porte crescono le ortiche. Qualche tetto cede sotto il peso della neve, più nessuno lo ripara. Tra Ala di Stura e Balme una mulattiera sassosa parte dalla provinciale e arranca tra i pini. A 6 chilometri da Ala, a 1400 metri di altezza, un gruppo di dieci case, Moiette, aggrappate sulle pendici di Mondrone.
Le porte sono sprangate. I passi risuonano per i vicoli come in chiesa. Quando ad Ala si accendono le luci, qui tre lumini incerti rischiarano i riquadri delle finestre. Un po’ di polenta, un po’ di latte, la solitudine. Il medico a un’ora e mezzo di marcia e quando viene la neve se ne stanno in casa con la capra.
A Moncenisio, per 5 mesi all’anno soltanto una mulattiera scoscesa unisce i 52 abitanti del più piccolo comune d’Italia (una volta erano 400). Nella valle di Susa l’Amministrazione provinciale ha fatto già molto con cantieri scuola ma le strade salgono lentamente dal basso verso le alture a portare la speranza. I 200 di Pavaglione a due ore di marcia dal centro abitato più vicino pensano che tra qualche anno potranno andare in motocicletta.
Per adesso calano a piedi e qualcuno viene a lavorare ogni giorno a Torino. Partono di casa alle 3 di notte. Le frazioni abbandonate si contano a decine: Braida, Mugliassi, Cugno, Nicoletti, Val Soana. Ingria è il capoluogo di 8 frazioni: né per Ingria né per le borgate c’è una strada carrozzabile.
Quando muore qualcuno nelle frazioni, i morti vengono giù in slitta per le mulattiere, come carichi di fieno, fino al cimitero del comune. Sotto le guglie della Barmotta a 1176 metri c’è Piamprato dove quest’anno arriverà babbo di Natale: finalmente ci sarà la luce elettrica. Ma non c’è strada, non c’è telefono.
Il medico è a Ronco, a 6 chilometri di mulattiera. Nelle stesse condizioni è Pianetto. A Fontanetta molte baite sono già diroccate. Nella valle ormai i vecchi sono in maggioranza: calderai, stagnini, i giovani in giro per il mondo a cercar lavoro.
A Valprato, in vent’anni, la popolazione si è ridotta da 1649 a 645 abitanti. In Valchiusella boscaglie, pascoli, una natura selvaggia e splendida, una miseria paurosa. Fondo, Succinto e altre quattro frazioni a 6 chilometri dal capoluogo, la più vicina farmacia è a 3 ore di marcia, un medico solo per tutta la valle. A Cantoncello c’erano 120 persone vent’anni fa, adesso ce ne sono 4.
Val Locana: le frazioni sono innumerevoli, forse tra le più povere della provincia. Prendiamone qualcuna: Piandemma, per esempio, a 1100 metri, a 2 ore e mezzo di mulattiera dal capoluogo. Ci stanno 50 persone: senza luce, senz’acqua, senza scuola e senza cimitero. I bambini vanno a scuola a Balmella, a un’ora di strada.
Serlone, a un’ora e un quarto da Locana, è nelle stesse condizioni. I morti li portano a valle adagiati su una scala e coperti da un telo. Val Germanasca, Prali: la ghiaia di tre alluvioni ha distrutto nell’ultimo decennio ettari di terra.
Val Pellice, sopra Bobbio: nel vallone della Liusa le case disabitate sono il doppio di quelle abitate, il medico è a Bobbio, la levatrice a Villar Pellice. I morti li portano a spalle fino al cimitero da Carboneri, Eyssard, Malpertus. Potremmo continuare. Ricordare le frazioni Polatera, Cadbert. Ugheterra, Mole, Viretta e Baronera di Giaveno dove mancano luce, acqua, telefono, strada.
Un’indagine condotta dall’Istituto di psicologia sociale della città di Torino in alcune delle valli ha dimostrato la preoccupante decadenza fisica dei montanari. Nell’alta valle Stura il 33 % dei giovani è risultato non idoneo al servizio di leva nel 1951.
Certamente le condizioni di vita oggi sono cambiate moltissimo, ma resta il fatto che lo spopolamento delle montagne è inesorabile.