La storia del mito Romanee-Conti inizia con i monaci del priorato di Saint-Vivant che, nell’Ottobre del 1241, si riunirono in consiglio decidendo di vendere il Clos des Cloux, una particella che costituiva la parte ovest delle vigne del Cloux de Saint-Vivant, ricevuto un secolo prima in donazione dai Duchi di Borgogna.
Questo appezzamento fu poi riconosciuto con il nome di Romané Conti nel 1760, quando Louis Francois del Bourbon, principe di Conti, acquistò la piccola particella della Romanée, contesa qualche tempo dopo con Madame del Pomadour. Un cammino che fa di questo un solitario tra gli altri diamanti.
La proprietà di Romanée-Conti oggi è in comune tra le famiglie de la Villaine e Leroy e si estende su una superficie di 1,8 ettari. E’ caratterizzato da un terreno insolito per i piccoli appezzamenti borgognoni, un suolo marrone misto ad una sottile argilla, terreni profondi e un drenaggio naturale perfetto favorito da uno strato di calcare del periodo medio giurassico che lo rende un habitat unico per il celebre Pinot Noir rispetto agli altri confinanti.
Certo se lo confrontiamo con gli altri nobili terroir di Francia, dall’argilla blu di Petrus, alle grave di Margaux, questo piccolo appezzamento sembra poca cosa. Arroccato sulle pareti di una dolce collina si confonde quasi con gli altri gioielli della zona…nella sfilata di Premier e Gran Cru tra Gevrey e Vougeot, Romanée Conti non sembra essere più speciale degli altri alla vista. Tra un susseguirsi di vigneti che si equivalgono per bellezza e prestigio, un semplice confine segnala l’esistenza del vino paradisiaco, lì al limite sud est tra i grandi di Borgogna.
I primi filari iniziano lungo una strada, il sentiero Raignots, largo 1,5 metri che lo separa da un altro prezioso gioiello, Richebourg. Tra i due vigneti c’è un leggero cambiamento nella pendenza verso il versante nord est, una differenza geologica nella composizione del terreno e una microclimatica. Secondo Aubert de Villaine, che gestisce il vigneto dal 1964 ispirandosi a pratiche biodinamiche, è questo che rende diverso Romanée Conti. Rese inferiori a 25 quintali.
Un dogma. Molte leggende sono sorte intorno a questo vino, ma una cosa resta certa: questo ettaro e 800 metri quadrati esisteva fin dal XII secolo senza che sia stato mai modificato nel tempo. E ‘ stato creato con i vigneti di Vosne dai monaci di Saint- Vivant, che dipendeva da Cluny, mentre Richebourg è stata creato dai monaci cistercensi. Romanèe Conti rappresenta il punto d’ incontro tra questi due grandi ordini religiosi al limite tra Echezeaux e Richebourg. Perché i monaci hanno creato una ripartizione così precisa? perché hanno dato questo schema al futuro Romanée -Conti?
E soprattutto perché le gestioni, le vendite, le invasioni, le guerre, la rivoluzione, insomma, secoli di storia turbolenta, hanno sempre rispettato la scelta iniziale? Mistero. Aubert de Villaine, prova a spiegare: ” Queste terre per secoli sono state rispettate qualunque sia stato il proprietario. E’ un dogma, è il matrimonio intimo tra monaci e un vitigno, il pinot noir. Forse è questo che ha ispirato la loro scelta, e come tale è stato rispettato“. La storia del vino e della sua vigna resta un mistero insondabile, così come lo è il loro legame: un sottile equilibrio tra un vitigno e suolo, il clima, l’esposizione, l’approvvigionamento idrico – Romanée Conti non soffre la siccità. Tutto questo ha condotto ad anni di osservazione. Rispetto alle altre denominazioni, l’esuberanza di Echezeaux, la setosità del Grand Echezeaux, la forza di La Tache che batte il pugno sul tavolo soprattutto quando è giovane, Romanée – Conti, è molto più riservato e comincia ad essere se stesso solo all’età di 15 anni…da intenditori.
Ma gli uomini non hanno solo osservato hanno anche lavorato questa terra. Ai tempi di Conti i contadini capirono che bisognava cercare il terreno più fine delle colline per coltivare la vite, perché sulle colline il deflusso delle acque piovane veniva veicolato naturalmente. Ci fu poi l’epoca della “provignage” che durò a Romanée Conti fino al 1945. Questa operazione rientrava nella mistica nonché tradizionale pratica colturale. Per riprodurre la vite, infatti, veniva” sacrificato ” un piede buono (una pianta buona), che veniva seppellita in un fosso lasciando fuori solo due rami che poi sviluppandosi creava due nuovi piedi.
“Quando siamo arrivati nel 1945 per ripristinare il vigneto- dice Aubert de Villaine – abbiamo trovato un groviglio di radici piuttosto consistente. Questo era la provignage. La nostra prima vendemmia nel 1952 è stata fatta con uve vendemmiate su piante di più di un metro di altezza. Il vino era incredibile. André Noblet, il nostro ex responsabile delle operazioni , era sicuro che le nuove viti avrebbero sfruttato a pieno le caratteristiche derivanti dal provignage”.